venerdì 21 novembre 2014

ART & CULTURE_Glitch





Arte e cinema dialogano tra di loro al PAC Padiglione d’Arte Contemporanea di Milano con la collettiva GLITCH, che riunisce opere di artisti italiani delle ultime generazioni con le quali esplorare le relazioni di linguaggio e contesto tra due diversi mondi. La mostra è la più ampia panoramica dedicata finora in Italia ad uno dei temi centrali dell'arte contemporanea.
Promossa e prodotta dal Comune di Milano – Cultura, PAC e CIVITA, l’esposizione introduce il visitatore in un percorso affascinante che si addentra nel mondo immaginario situato all’esatta intersezione tra tecnologia e arte. Complice di questa magica esplorazione, il linguaggio più attuale in assoluto: quello dell’immagine in movimento. Viene così a crearsi un luogo tutto italiano dove Milano si trova perfettamente a suo agio, essendo la capitale della creatività italiana e, al tempo stesso, dell’industria e dell’innovazione tecnologica.
La mostra partecipa a Milano Cuore d’Europa, il palinsesto culturale multidisciplinare dell’Assessorato alla Cultura del Comune di Milano dedicato all'identità europea del capoluogo lombardo anche attraverso le figure e i movimenti che, con la propria storia e la propria produzione artistica, hanno contribuito a costruirne la cittadinanza europea e la dimensione culturale.
Commissionata dal nuovo Comitato Scientifico del PAC - alla sua seconda mostra - e curata da Davide Giannella, GLITCH presenta una selezione di opere tra film, installazioni, fotografia e performance, realizzate da artisti italiani negli ultimi quindici anni, dal 2000 al 2015, con pochissime eccezioni che suggeriscono antecedenti e contrappunti.
Il titolo della mostra si rifà al linguaggio dell’elettronica e del digitale: il glitch è una distorsione, un’interferenza non prevista all’interno di una riproduzione audio o video, un’onda breve e improvvisa che dura un istante e poi si stabilizza. Un momento inatteso che può diventare rivelatore, come possono esserlo le opere in mostra: tracce di un territorio i cui confini sono in costante via di definizione, tesi e sfumati tra diversi sistemi critici, di produzione, distribuzione e fruizione.
Filo conduttore è l’idea di storytelling, di rifrazione tra narrativa lineare e non lineare, verità e finzione, ma anche di ricerca attorno all’atto di guardare e di montare storie: elementi fondanti del cinema e trame dell’arte recente, ma soprattutto strumenti nella creazione di miti e immaginari attraverso differenti linguaggi.
Il passaggio definitivo al digitale ha portato allo snellimento degli strumenti e all'assottigliamento dei costi nella produzione e distribuzione di immagini in movimento. Quelle che sino a pochi anni fa erano, per qualità formale e costi, produzioni esclusive dell’industria cinematografica, sono oggi alla portata di un sempre più ampio numero di autori. L’episodio dell’11 Settembre 2001 ha decretato in maniera definitiva quanto la creazione e rielaborazione di immagini sia dominio di tutti e come i racconti, per quanto frammentati, siano generatori di immaginari prima ancora che testimonianze di realtà, rendendo il reale fittizio e materializzando finzioni.
A questo si è aggiunta nel 2003 la nascita di youtube.com: sempre più artisti visivi - anche in Italia - si sono avvicinati alla sperimentazione nell’ambito delle immagini in movimento, superando o discostandosi della videoarte per avvicinarsi al linguaggio più narrativo del cinema e all'immediatezza di internet. Il risultato è l’allargamento di quell’area di confine in continua evoluzione, l’interstizio tra territori attigui, ma ancora distinti, chiamato Art Cinema.
GLITCH si sviluppa su tre livelli principali, tre aree che si muovono intorno all'idea di opera filmica.
Il primo livello, quello cinematografico, trasforma il PAC in un multisala: 64 film d’artista sono stati suddivisi in due programmi, che verranno proiettati a giorni alterni all’interno di tre mini-cinema realizzati ad hoc per la mostra. Le opere, raccolte in serie e per temi, avranno soprattutto carattere narrativo: produzioni di artisti che lavorano nella cornice dell’arte contemporanea o meta-film, appartenenti all’ampia categoria del cinema sperimentale.
Il secondo livello, quello delle installazioni, contiene opere che instaurano relazioni con il linguaggio e l’immaginario cinematografico e funzionano come declinazioni, traduzioni o presupposti dei lavori filmici.
Il terzo livello, quello performativo, propone performance come dispositivi dal vivo di immagini in movimento, presentando progetti che sfondano la dimensione dello schermo, oppure creano relazioni multimediali o ancora analizzano e sottolineano, reinterpretandoli, elementi specifici del cinema.
La mostra è realizzata con il sostegno di TOD’S, sponsor dell’attività espositiva annuale del PAC, e con il supporto di Vulcano. L’allestimento dei mini cinema è realizzato con materiale Alcantara prodotto in due speciali versioni.
Seguendo una precisa volontà di collaborare con altri progetti e istituzioni attive sul territorio, in occasione della mostra il PAC collabora con Careof DOCVA, che presenta all’interno del proprio spazio espositivo in via Procaccini Diamanti: una mostra di approfondimento che ripercorre la filmografia e la produzione degli artisti italiani selezionati per Glitch, attraverso i preziosi materiali conservati nell’archivio video.

GLITCH
Interferenze tra arte e cinema in Italia
a cura di Davide Giannella
PAC Padiglione d’Arte Contemporanea, Milano
Fino al 6 gennaio 2015 

giovedì 20 novembre 2014

BOOK_John Berger

 Capire una fotografia


Capire una fotografia, pubblicato da Contrasto nella collana In Parole, presenta una raccolta di testi sulla fotografia di John Berger, critico d’arte, poeta, giornalista, romanziere, sceneggiatore cinematografico, autore teatrale e disegnatore. 
Nel volume figurano venticinque testi, scelti da Geoff Dyer e organizzati in ordine cronologico, che danno conto della passione civile e politica di uno dei grandi intellettuali della nostra epoca e della sua instancabile esplorazione del mondo e dei linguaggi che lo raccontano. 
 

Gli scritti di Berger sulla fotografia sono tra i più originali del Ventesimo secolo. La selezione di Capire una fotografia contiene saggi pionieristici estrapolati dai suoi libri pubblicati, ma anche pezzi finora inediti, nei quali l’autore indaga l’opera di fotografi come Henri Cartier-Bresson, Martine Franck, Jitka Hanzlová, André Kertész, W. Eugene Smith, Paul Strand – e la vita degli uomini e delle donne fotografati – con un impegno, un’intensità e una tenerezza travolgenti.
 

Il libro non è una mera antologia, bensì un grande saggio di teoria critica, costruito a poco a poco nel corso di oltre cinquant’anni. Saggista e critico dell’arte, ma prima di tutto narratore, John Berger esamina e mette a nudo le storie di una fotografia, sia quelle svelate che quelle nascoste, abbandonando a poco a poco il ruolo didascalico e assumendo quello di vera e propria guida. Una guida di virgiliana memoria, pronta ad accompagnarci nei meandri della fotografia intesa in senso lato, quintessenza di tempo, luoghi e persone.

John Berger, nato a Londra nel 1926, è noto in tutto il mondo come critico d’arte, poeta, giornalista, romanziere (ma l’autore, che non ama questo termine, preferisce definirsi storyteller), sceneggiatore cinematografico, autore teatrale e disegnatore. Tra le sue numerose opere narrative e saggistiche ricordiamo il fondamentale Questione di sguardi (il Saggiatore, 1998); il romanzo G., che nel 1972 gli valse il Booker Prize (Neri Pozza, 2012); la raccolta di saggi Sul disegnare (Libri Scheiwiller, 2007); Il taccuino di Bento (Neri Pozza, 2014) e il recentissimo Rondò per Beverly (Nottetempo, 2014). Nel 1962 ha lasciato definitivamente la Gran Bretagna, e oggi vive in un piccolo villaggio delle Alpi francesi.

Geoff Dyer è autore d i quattro romanzi e di numerosi saggi. Nel 1992 ha vinto il Somerset Maugham Prize con Natura morta con custodia di sax. Storie di jazz (Instar Libri, 1993; Giulio Einaudi editore, 2013); nel 2006 l’Infinite Award dell’International Center of Photography con L’infinito istante. Saggio sulla fotografia (Giulio Einaudi Editore, 2007); e nel 2012 il National Book Critics Circle Award con la raccolta di saggi Otherwise Known as the Human Condition (Graywolf Press, 2011).

John Berger

Capire una fotografia
A cura di Geoff Dyer
Traduzione e cura dell’edizione italiana di Maria Nadotti
Contrasto editore

264 pagine, 19,90€

venerdì 14 novembre 2014

STYLE_Il giardino di seta di Kinloch





Per la prossima primavera-estate Kinloch ci accoglie in una stilosa pagoda, per illustrarci i suoi nuovi racconti.
Le sete si popolano di animali in un viaggio animato per luoghi d’incanto. Spuntano civette. Mucche dalla amata Scozia. Si arriva poi in mongolfiera nella magica Sicilia, in cui gechi sembrano essere appoggiati a prendere il sole e libellule volare tra fiori rampicanti. Zagare compaiono in distese blu mare. Tartarughe camminano lentamente, intrecciando labirinti di piante e fiori. Esotici pappagalli prendono il volo in cerchio. Statue pompeiane preservano racconti di secoli passati, con sagittari che spuntano da templi di paesi lontani, popolati da scimmie, elefanti, tigri.
La mano di Marco Herbertson non si ferma, i disegni continuano inesauribili, senza mai abbandonare la sua intuizione iniziale, di un magico patto siculo-nipponico.
La collezione presenta stole e foulards per lei, cravatte e pochette da taschino per lui. Dulcis in fundo, le nuovissime camicie disegno foulard.
Tessuti sempre comaschi, ça va sans dire: sete, cotoni, lane, tutto made in Italy, così come le produzioni, prima fra tutte quella delle camicie realizzate nelle migliori sartorie napoletane.
In breve tempo Kinloch si è ritagliato un ruolo di spicco nel panorama internazionale del costume, affermandosi nei top shop italiani ed esteri, con particolare attenzione ricevuta da parte del mercato giapponese, che lo ha inserito nei maggiori stores del paese.
Neo-brand del lusso firmato dell’italo scozzese Marco Kinloch Herbertson, la sua storia muove i primi passi in Sicilia, presso la dimora settecentesca della moglie Antea Brugnoni Alliata, discendente di un’antica famiglia siciliana e appassionata conoscitrice del mondo arabo. Un’avventura alla ricerca di un design dal sapore originale e, al contempo, retro con cui ottenere una visibilità internazionale.
Le novità di Kinloch possono essere seguite sul sito www.kinloch.it o sulla pagina FB www.facebook.com/pages/Kinloch.


giovedì 13 novembre 2014

LEISURE_Walter Bonatti - Fotografie dai grandi spazi








Fino all’8 marzo 2015, Palazzo della Ragione Fotografia di Milano presenta la prima mostra, mai dedicata, a Walter Bonatti, uno dei più grandi fotografi italiani. Promossa e prodotta dal Comune di Milano - Cultura, Palazzo della Ragione, Civita, Contrasto e GAmm Giunti, è realizzata a cura di Alessandra Mauro e Angelo Ponta ed in collaborazione con l’archivio Bonatti.
Palazzo della Ragione, il nuovo spazio espositivo interamente dedicato alla fotografia in Piazza dei  Mercanti, a due passi da Piazza Duomo, dopo la mostra di Sebastião Salgado mette a fuoco la sua proposta espositiva e culturale con questa importante rassegna dedicata alla figura del grande esploratore e pensatore Walter Bonatti.
L’esposizione dal titolo Walter Bonatti. Fotografie dai grandi spazi, con l’ausilio di video, di documenti inediti e di un allestimento particolarmente coinvolgente, ripercorre il racconto visivo, le vicende esistenziali e le avventure dell’alpinista ed esploratore italiano. Un viaggio per immagini che si svolge attorno alla passione per la bellezza della natura e l’esigenza di una relazione sempre più rispettosa con il mondo che ci circonda.
La mostra partecipa a Milano Cuore d’Europa, il palinsesto culturale multidisciplinare dedicato alle figure e i movimenti che, con la propria storia e la propria produzione artistica, hanno contribuito a costruire la dimensione culturale dell'identità europea.
Esposte, le immagini di oltre 30 anni di viaggi alla scoperta dei luoghi meno conosciuti e più impervi della Terra: ad esse il compito di raccontare una passione travolgente per l’avventura insieme alla straordinaria professionalità di un grande reporter.
E d’altronde, è difficile separare il ricordo di Walter Bonatti da quello delle sue fotografie. Ed è sorprendente scoprire quanto la sua figura e le sue imprese siano radicate nella memoria di un pubblico tanto differenziato per età e interessi. La persistente popolarità di Bonatti ha più di una spiegazione. Imparò a fotografare e a scrivere le proprie avventure con la stessa dedizione con cui si impadronì dei segreti della montagna: alpinista estremo, spesso solitario, ha conquistato l’ammirazione degli uomini e il cuore delle donne, affascinando nello stesso tempo l’immaginario dei più giovani.
Il mestiere di fotografo per grandi riviste italiane, soprattutto per Epoca, lo portò a cercare di trasmettere la conoscenza di luoghi estremi del nostro pianeta. Al tempo stesso, non smise mai di battersi con forza per tramandare la vera storia, troppe volte nascosta, della conquista del K2 e del tradimento dei compagni di spedizione.
Molte tra le sue folgoranti immagini sono grandiosi “autoritratti ambientati” e i paesaggi in cui si muove sono insieme luoghi di contemplazione di scoperta. Bonatti si pone davanti e dietro l’obiettivo: in un modo del tutto originale è in grado di rappresentare la sua fatica e la gioia per una scoperta, ma al tempo stesso sa cogliere le geometrie e le vastità degli orizzonti che va esplorando.
Il talento per la narrazione, l’amore per le sfide estreme, l’interesse per la fotografia come possibilità di scoprire e testimoniare per sé e per gli altri. Una passione, e probabilmente anche un’esigenza, nata già negli anni dell'alpinismo (con i trionfi e le amarezze che li segnarono), con le foto scattate sulle pareti più difficili, e poi consolidata nel tempo, con i racconti d’imprese affascinanti e impossibili.

Walter Bonatti nasce a Bergamo nel 1930. Del 1951 è la sua prima grande impresa alpinistica: con Luciano Ghigo scala la parete est del Grand Capucin nel gruppo del Monte Bianco. Nel 1954 Bonatti è il più giovane partecipante alla spedizione capitanata da Ardito Desio, che porterà Achille Compagnoni e Lino Lacedelli sulla cima del K2. Nel 1955 scala in solitaria e per la prima volta assoluta il pilastro sud-ovest del Petit Dru, nel massiccio del Monte Bianco. Nell’inverno del 1965 scala in solitaria la parete nord del Cervino aprendo una nuova via. È la sua ultima impresa di alpinista estremo. Successivamente si dedicherà all’esplorazione e all’avventura come inviato del settimanale Epoca, fino al 1979. A partire dagli anni Sessanta pubblica numerosi libri che narrano le sue avventure in montagna e negli angoli più sperduti del pianeta. Muore a Roma il 13 settembre 2011, all’età di 81 anni.

Walter Bonatti - Fotografie dai grandi spazi
Palazzo della Ragione Fotografia
Piazza dei Mercanti 1, Milano

Fino all’8 marzo 2015