venerdì 20 dicembre 2013

LEISURE_Louis Vuitton, campagna di comunicazione p/e 2014

Gisele Bundchen

Caroline De Maigret

Catherine Deneuve

Catherine Deneuve

Edie Campbell

Louis Vuitton NN14 Cuir Nuance

Louis Vuitton NN14 Les Extraordinaires

Louis Vuitton NN14 Les Extraordinaires

Louis Vuitton NN14 Les Extraordinaires

Louis Vuitton NN14 Monogram Idole 

Louis Vuitton NN14 Sprouse

Louis Vuitton NN14 Studs

Sofia Coppola

Sofia Coppola


Per il suo ultimo “capitolo di stile” targato Louis Vuitton, Marc Jacobs ha guardato alle donne che l’hanno sempre ispirato. Con lo stesso spirito, la campagna Primavera/Estate 2014 ritrae le sue muse ispiratrici.
Catherine Deneuve, Sofia Coppola, Gisele Bündchen, Fan Bingbing, Caroline de Maigret e Edie Campbell, la modella che lo stilista stesso ha scelto per aprire la sua ultima sfilata, fotografate da Steven Meisel. Lo sfondo semplice dello studio e la sobria palette di colori esaltano la personalità di ciascuna delle muse così come le differenti declinazioni della borsa Noé in coccodrillo, vitello, tela Monogram o tessuto ricamato di paillettes con il motivo disegnato da Stephen Sprouse o ancora ricoperta di piume e cristalli.
Così come la sfilata ha voluto essere una celebrazione del lavoro di Marc Jacobs da Louis Vuitton, così la campagna è un vibrante omaggio alle donne muse e allo stile senza tempo della Maison: otto ritratti su singola pagina – apparirà sui numeri di febbraio delle principali testate di tutto il mondo.
Fotografo: Steven Meisel; Stylist: Karl Templer; Capelli: Guido Palau; Trucco: Pat McGrath.

Protagonista degli scatti insieme a queste sei icone di stile e bellezza, la borsa NN14 in una miriade di varianti: una nuova declinazione del mitico secchiello Noè, disegnato da Gaston-Louis Vuitton nel 1932 in risposta alla richiesta di un produttore di champagne di trasportare in maniera elegante cinque bottiglie di preziose bollicine.
L’edizione limitata NN14 è stata creata attraverso ciò che Marc Jacobs descrive come una “pulizia” del progetto originale: più piccola, più aerodinamica, ma pur sempre riconoscibile come “secchiello” per champagne o per altri usi.
Oltre a Les Extraordinaires, le rarissime e preziosissime edizioni i cui stravaganti ornamenti (piume, cristalli, paillettes, borchie, applicazioni in coccodrillo) testimoniano l’eccezionale savoir-faire di Louis Vuitton, faranno la loro apparizione nella campagna Primavera/Estate 2014 - e ne definiranno i toni - altre versioni della borsa NN14. Tutte avranno in comune alcuni elementi distintivi del modello: il tassello di chiusura in pelle plissettato a mano, la maniglia in pelle goffrata Louis Vuitton e gli iconici lucchetti e portachiavi a campana LV. All’interno della borsa, una pochette chiusa da cerniera, per riporre gli oggetti più preziosi.
Indossata da Sofia Coppola nella campagna pubblicitaria, la NN14 in Monogram Idole unisce la tela logata ai profili in pelle di vitello nero, rosso scuro oppure blu scuro, un sobrio tocco di colore che regala nuova ricchezza ed eleganza al celebre Monogram. La borsa è disponibile in due misure: piccola, da portare a mano (disponibile anche nella classica tela Monogram con bordo in cuoio naturale) e grande, da portare anche a spalla.
La NN14 in morbido vitello Cuir Nuance è l’emblema della ricerca dell’eleganza non ostentata, le sue linee raffinate sono esaltate dalla bellezza autentica del pellame. Oltre all’intramontabile nero, presentato nella campagna da Gisele Bündchen, la versione piccola è disponibile in rosso rubino e la grande in rosso, blu e terra di Siena sulla quale una patina applicata a mano dona una nuance intrigante e delicatezza insieme.
A completare la collezione ci sono due ulteriori declinazioni: la NN14 portata da Edie Campbell in vitello borchiato dall’allure rock, nonché quella indossata da Fan Bingbing in Monogram jacquard blu scuro, interamente ricamato di paillettes nere a motivo graffiti di Stephen Sprouse.

Louis Vuitton
Dal 1854 Louis Vuitton ha realizzato modelli unici al mondo, unendo innovazione e style nel rispetto della più alta qualità. Ancora oggi la Maison rimane fedele allo spirito del fondatore, Louis Vuitton, che diede vita alla vera “arte del viaggio” con i propri bauli, borse ed accessori, innovativi, pratici ed eleganti. Da allora l’audacia ha segnato la storia di Louis Vuitton. Fedele a questa tradizione la Maison ha aperto nel corso degli anni le proprie porte ad architetti, artisti e designers sviluppando le collezioni di ready-to-wear, scarpe, accessori, orologi, gioielli e accessori per la scrittura. Questi oggetti, creati con grande passione, sono la testimonianza dell’impegno di Louis Vuitton al raggiungimento dei più alti livelli di artigianato. Per ulteriori informazioni: www.louisvuitton.com

giovedì 19 dicembre 2013

STYLE_I bijoux da favola di Aonie







La linea di gioielli Aonie prende il nome dalle figlie di Zeus, che nell’antico mito greco, rappresentavano l’ideale dell’arte e ispiravano poeti, filosofi e musicisti. Nato dalla collaborazione delle sorelle Paola e Consuelo Coti (rispettivamente, esperta di luxury market e architetto e jewellery designer), il marchio contempla la creazione di accessori speciali, in bilico tra “costume jewellery” e gioielleria.
Moda, tradizione e femminilità sono i cardini sui quali si è sviluppato questo progetto particolarmente sensibile alle tendenze e alla cura del dettaglio. Aonie utilizza materiali semipreziosi come argento, onice, perle e coralli per creare accessori ‘prèt-à-porter’ dall’eleganza unica, caratterizzata da raffinati particolari e sofisticati elementi decorativi. La lavorazione è affidata alle mani di attenti orafi italiani che conferiscono ad Aonie il valore di un marchio di eccellenza e unicità. Libertà di movimento e di espressione sono le caratteristiche di questi gioielli, nati per esaltare il gusto di ogni donna, fondendosi con il suo stile e prestandosi a innumerevoli modi di combinazione e interpretazione. Il tutto, nell’esaltazione concertata di femminilità e poesia.
Per la primavera-estate 2014 il marchio non smette di stupire, lanciando sul mercato due collezioni - ”Indian Legend” e “Once upon a time” - molto diverse tra loro, ma contraddistinte dall’eleganza e la ricerca tipiche del marchio. La prima è ispirata ad una terra piena di fascino e mistero - l’India – e presenta una vasta gamma di pezzi dal sapore bollywoodiano: tintinnanti orecchini pendenti in argento, ricche collane ornate da pietre naturali, anelli con catenelle e gioielli da mano si propongono come i dettagli per arricchire anche il più classico degli outfit, conferendo alla donna che li indossa lo stesso allure di una bellissima principessa indiana.
La collezione “Once upon a time”, invece, è ispirata ai classici racconti per bambini. “C’era una volta” si legge all’inizio delle favole ed è così anche nel fantastico mondo Aonie. I personaggi de “Il Mago di Oz”, “Il Piccolo Principe” e “Alice nel paese delle meraviglie” sono pronti a trasportare chi li indossa in un viaggio incantato. Immagini e parole si fondono e decorano i charms che diventano orecchini, collane e bangles. Lineare ed elegante, è una collezione adatta a tutte le donne che amano sognare ad occhi aperti, un tocco di magia nella vita quotidiana.

martedì 17 dicembre 2013

ABOUT_Cinema e moda


















Cinema e moda: un’accoppiata che ha dimostrato nel tempo un’unitarietà d’intenti e una reciproca contaminazione.
Entrambe rappresentano forme d’arte: un’arte che si fa espressione di messaggi sociali, veicolando messaggi e codificando istanze e valori di un’epoca, che, tramite i fotogrammi di una pellicola o i modelli creati da magistrali couturier, prendono vita. Cinema e moda, quindi, come rappresentazioni emblematiche di persone, luoghi e momenti. Una missione ambiziosa, resa possibile, per l’appunto, dal legame indissolubile venutosi a creare tra di loro.
Riflettendo attentamente, l’abbigliamento riveste un ruolo fondamentale in un film, esprimendo l’essenza del personaggio. Su tutte le varie decadi cinematografiche svettano gli anni ’30 quale periodo di maggior influenza della settima arte sulla moda. E’ l’epoca in cui si afferma lo star-system hollywoodiano: il cinema diventa così lo strumento per antonomasia per diffondere mode e tendenze. Se lo stile di divi e divine entra di diritto a far parte della memoria collettiva, non altrettanto può dirsi per gli artefici, ossia i costumisti, spesso rimasti sconosciuti ai più. Un anonimato che solo nel 1948, quando viene istituito l’Oscar per i costumi, comincerà a essere scalfito. Agli albori del cinema, le attrici provvedevano personalmente al loro guardaroba, oppure, per i film in costume, ricorrevano alle sartorie teatrali. Col tempo, l’esigenza di dedicare qualcuno interamente a mettere in risalto il corpo della diva, diviene sempre più impellente: è così che nella seconda metà degli anni ’20, nasce a Hollywood la figura del costumista. All’epoca, quindi, più che le grandi firme della moda francese, sono i costumisti stessi a dettare tendenza: su tutti, doveroso ricordare Adrian (1903-1960), Irene (1901-1962) e Orry-Kelly (1897-1964). Un fenomeno che suona alquanto innovativo per l’epoca, al punto che in quasi tutti i grandi magazzini vengono creati i cosiddetti “reparti cinema” dove si possono acquistare a prezzi accessibili le copie di abiti apparsi nei film di successo.
Ad Adrian il plauso d’aver creato il look di due delle più grandi dive degli anni ‘30: Greta Garbo e Joan Crawford. In particolare, per nascondere la figura imperfetta di quest'ultima, caratterizzata da un busto imponente e da gambe poco slanciate, Adrian decide di enfatizzare la larghezza delle spalle attraverso tailleur dalle ingombranti spalline. La metamorfosi della Crawford, avvenuta sul set di Letty Linton (1932; Ritorno), ha un successo immediato. Nella stagione successiva all’uscita del film, i grandi magazzini americani Macy's vendono oltre 50.000 copie dell'abito a forma di triangolo capovolto indossato dalla diva nel film. Ancor più significativo, però, è osservare che l'anno precedente Elsa Schiaparelli aveva proposto un analogo modello senza suscitare nessuno scalpore.
E se Adrian ha creato lo 'stile Crawford', ecco Travis Banton ideare per Marlene Dietrich i celeberrimi tailleur dal taglio maschile, amatissimi dalla diva e più volte reinterpretati da un moderno Giorgio Armani, come da lui stesso evidenziato. “Ci sono molte coincidenze tra il mio stile e quello di Marlene”, sottolinea lo stilista, “una propensione all'androginia che non scade mai nel travestitismo. Di questo la Dietrich fu pioniera nella vita. Io lo sono stato nella moda”.
Numerosi gli artefici dell’eleganza hollywoodiana: Jena Louis è stato il geniale creatore dell’indimenticabile abito di satin senza spalline indossato da Rita Hayworth in Gilda (1946); Edith Head, fiera di 8 Oscar e 35 nominations, ha inventato lo stile esotico di Dolly Lamour che, in The jungle princess (1936; La figlia della giungla), lancia la moda dei sarong e dei tessuti orientali; e, sempre lei, ha ideato lo stile inquietante di Barbara Stanwyck in Double indemnity (1944; La fiamma del peccato).

Con gli anni ‘50 la funzione del cinema, complice la diffusione della televisione, cambia molto e con essa la concezione del divismo. I divi, con cui ci si identifica, continuano a rappresentare i principali modelli di riferimento dell'eleganza, anche se meno idealizzati e inaccessibili rispetto al passato. Emblematica, in tal senso, Marilyn Monroe che, con la sua bellezza procace e il suo erotismo 'naturale', si impone come modello da imitare per milioni di ragazze. Considerazioni analoghe valgono anche per il côté maschile con attori del calibro di Marlon Brando e James Dean che diffondo prepotentemente l'abbigliamento informale, caratterizzato da jeans, T-shirt e giubbotto, attraverso film come The wild one (1953; Il selvaggio) o Rebel without a cause (1955; Gioventù bruciata). Siamo nell’epoca dei divi dal corpo qualunque, che seducono non più perché straordinari ma perché come noi.  Non è tanto la gente che somiglia loro, ma piuttosto il contrario. Da modelli i divi si sono trasformati in riflessi.
Non a caso, infatti, i ruoli di Marilyn Monroe sono spesso quelli della ragazza della porta accanto. Un caso su tutti, il film di Billy Wilder: Seven year itch (1955; Quando la moglie è in vacanza). Al costumista William Travilla il merito d’aver scelto il vestito bianco che, sollevato da un colpo di vento sopra le grate della sotterranea, è divenuto uno degli abiti più noti della storia del cinema.
Accanto al fascino ingenuo della Monroe, si afferma in questi anni quello più sensuale e inquietante di Elizabeth Taylor. La costumista prediletta dall’attrice è Helen Rose che le realizza le mises di Cat on a hot tin roof (1958; La gatta sul tetto che scotta), tra le quali il famoso abito bianco dal corpetto riccamente drappeggiato incrociato sul davanti, la cui copia, posta in vendita nei grandi magazzini, realizza nel 1958 il record di incassi.
Contraltare del glamour hollywoodiano, uno tipicamente europeo, concentrato di femminilità e seduzione: Brigitte Bardot. A lei il plauso d’aver lanciato mode come la coda di cavallo, le ballerine e il reggiseno a balconcino a quadretti vichy.
Nel Belpaese, questa è l’epoca di Cinecittà e delle maggiorate uscite dai concorsi di bellezza. Silvana Mangano, Sofia Loren e Gina Lollobrigida diffondono l’immagine di una donna procace e prosperosa, con una sostanziale differenza rispetto allo stile delle maggiorate d'oltreoceano: la semplicità, complici gli abiti miseri da popolana presi in prestito dal neorealismo. Con l'affermarsi di Cinecittà e la nascita della nuova 'Hollywood sul Tevere', la capitale diviene un importante punto di riferimento per il mondo dello spettacolo internazionale, scenario privilegiato di quello stile di vita che diventerà famoso con il nome di Dolce Vita. Un clima di grande fervore per la città eterna, che stimola gli atelier a ingrandirsi e a divenire sempre più sofisticati. È il momento di Schubert, Gattinoni e delle Sorelle Fontana. Il celebre atelier di queste ultime diventerà addirittura lo scenario del film di Luciano Emmer, Le ragazze di piazza di Spagna (1952). Un’abitudine, quella di utilizzare il mondo della moda come ambientazione di set cinematografici, ripresa nel tempo: Roberta (1935) di William A. Seiter, Artists and models abroad (1936) di Mitchell Leisen, Mannequin (1938; La donna che voglio) di Frank Borzage, e successivamente Funny face (1957; Cenerentola a Parigi) di Stanley Donen, Designing woman (1957; La donna del destino) di Vincente Minnelli, o ancora Blow-up (1966) di Michelangelo Antonioni.
In netto contrasto al modello della maggiorata, ma pur sempre appartenente agli anni ’50, lo stile esile e raffinato di Audrey Hepburn, consacrato, nel 1954, con il personaggio di Sabrina nell'omonimo film di Billy Wilder. Un film chiave, quest’ultimo, per i rapporti tra moda e cinema in quanto, per la prima volta, con grande successo, la figura dello stilista si affianca a quella del costumista. In Sabrina questa presenza è così importante da divenire parte della narrazione: la Hepburn da modesta figlia di un autista si trasforma, complice un soggiorno parigino, in una sofisticata lady. La metamorfosi è resa evidente dai raffinati abiti indossati nell'ultima parte del film, rigorosamente firmati Hubert de Givenchy. Passa totalmente in secondo piano il fatto che il guardaroba dell'attrice - dagli abitini scollati a barchetta ai pantaloni stretti da torero - fino al fatidico soggiorno parigino sia stato creato da Edith Head; quello che conta è l'inscindibile legame venutosi a creare tra la Hepburn e Givenchy, un sodalizio rimasto inalterato nel tempo sia sul set sia nella vita privata. Il grande sarto veste la diva in film che hanno lasciato il segno nel campo della moda, come Funny face (1957) o ancor più Breakfast at Tiffany's (1961; Colazione da Tiffany). In quest'ultimo film l'attrice ha lanciato uno stile, tuttora reinterpretato dalla moda, con la sua innata eleganza fatta di tubini neri e di grandi occhiali da sole.

Gli ultimi decenni, oltre ad aver decretano il legame tra cinema e moda, basti pensare a Catherine Deneuve che, dopo essere stata vestita da Yves Saint Laurent sul set del film di Luis Buñuel Belle de jour (1967; Bella di giorno), ha mantenuto con lo stilista un sodalizio fino alla sua scomparsa.
In questi anni, l’immagine mitica del cinema è andata affievolendosi, complice la spasmodica affermazione dei mass media e il loro moltiplicarsi. I canoni di riferimento sono divenuti sempre più variegati, dando libero sfogo alla creatività personale. Tuttavia, il cinema ha sempre avuto un ruolo di spicco nel dettare le tendenze, dando vita a veri e propri fenomeni di costume. Nella seconda metà degli anni ’60, il successo del film di Arthur Penn Bonnie and Clyde (1967; Gangster story, con costumi di Theadora Van Runkle) influenza la moda in misura considerevole. All'indomani dell'uscita del film, Faye Dunaway - con il suo abbigliamento caratterizzato da basco, pullover aderente e gonna longuette - porta alla ribalta lo stile anni ‘30. Una tendenza al gusto del revival seguita qualche tempo più tardi e rivolta agli anni ’20 con la trasposizione cinematografica del romanzo di Francis Scott Fitzgerald The great Gatsby (1974; Il grande Gatsby). Sia gli impeccabili completi disegnati dallo stilista Ralph Lauren per Robert Redford nei panni di Gatsby, sia i vestiti indossati da Mia Farrow, hanno un enorme successo tanto da valere un Oscar per i costumi a Theoni V. Aldridge. Da ricordare, inoltre, il successo riscontrato nel 1977 dallo stile androgino di Annie Hall (1977; Io e Annie, costumi di Ruth Morley; alcuni abiti di Ralph Lauren e Jean-Charles de Castelbajac); il ritorno della sahariana dopo l'uscita sul grande schermo di Out of Africa (1985; La mia Africa, costumi di Milena Canonero), o ancora il revival degli anni ‘40 favorito da Evita (1996; costumi di Penny Rose) di Alan Parker.