mercoledì 30 gennaio 2013

LEISURE_Altaroma: l'intelligenza si fa artigianale





Dal 26 al 29 gennaio si è tenuta l’edizione invernale della fashion week capitolina. Haute couture e neocuture, new talents e grandi firme, preziosità sartoriali e contaminazioni d’avanguardia: questo il duplice binario sul quale si è articolata la versione invernale di Altaroma appena conclusasi, quintessenza del meglio del meglio in ambito moda e design, rigorosamente made in Italy. Giunta al numero 21, la quattro giorni di tendenze ha sfiammato numerose proposte e iniziative, volte a promuovere e valorizzare la qualità, la creatività e l’incomparabilità dell’inventiva e della produzione italiana. Un evento che intende sempre di più porsi come speciale occasione nell’ambito della quale testimoniare lo stile, la bellezza, la ricercatezza e l’intelligenza creativa che tanto contraddistinguono il Belpaese a livello mondiale. A fare da fil rouge per quest’edizione l’iconicità del made in Italy, celebrata con grandi classici e simboli della sartorialità. Una sartorialità che ha trovato la sua ragion d’essere nell’innesco di genialità e alto artigianato, chiave di volta per distinguersi dai modaioli appuntamenti di Milano, Londra e Parigi.
Largo spazio, in particolare, alla contaminazione tra le arti, attraverso momenti speciali dedicati, come, per esempio, l’omaggio rivolto a una signora della moda – Elsa Schiaparelli – per mano di una signora del teatro – Lella Costa: Elsa Schocking è il monologo tratto dall’autobiografia della stilista, interpretato egregiamente dall’artista. Couturiere rivoluzionaria, Schiaparelli è stata l’anti-Chanel, sofisticata e visionaria al punto giusto per non passare inosservata sulla scena del costume d’allora, desiderosa di avere punti di riferimento in fatto di stile e tendenze. Nel monologo per Altaroma, Elsa-Lella si racconta, evocando sul filo dei ricordi la rivoluzione di una moda che scopre il corpo, compagna di un’analoga metamorfosi messa in atto nel campo dell’arte dalle Avanguardie storiche.
Sintonizzate sulla medesima lunghezza d’onda, le presentazioni che simpaticamente hanno strizzato l’occhio all’universo artistico, primo su tutti, l’evento dedicato al loden, storico capospalla, nato come soprabito sportivo per la caccia: LodenTal ha avviato un’operazione di recupero e rilancio, che passa attraverso nuovi colori, e porta a una collezione inedita maschile e femminile, presentata con tanto d’installazione realizzata ad hoc. Nello spazio austero del Complesso di Santo Spirito in Sassia, invece, il brand di Andrea Provvidenza ha proposto una videoinstallazione firmata da Emanuele Foti: un loden bianco diventa una tela attraversata da immagini proiettate.
E sempre in tema di icone, i riflettori sono stati puntati su un oggetto simbolo dell’haute couture: l’abito per il red carpet, reinterpretato, per l’occasione, dai talenti di Limited / Unlimited. 36 brand italiani hanno scelto i loro capi più preziosi per una sorta di passerella virtuale. Pezzi unici, come opere d’arte, con cui raccontare l’aspetto più spettacolare della moda.
Non solo fashion, dunque. Da sempre, infatti, Altaroma ha fatto della contaminazione tra i diversi linguaggi artistici uno dei suoi focus, rinnovando, di anno in anno, la sua vocazione per l’arte contemporanea e la sua sensibilità eclettica.
Una devozione che ha avuto il suo cuore con A.I., ovvero Artisanal Intelligence, progetto pensato per coltivare un sapiente mix tra arte, artigianato e moda. Rigorosamente nel segno dell’eccellenza italiana, A.I. si è caratterizzato quale laboratorio per la creatività emergente: un blog ma anche un programma di eventi, studiati per insolite location. Ecco come si è sviluppato A.I. Gallery 2013, un percorso tra alcune gallerie d’arte romane, che hanno ospitato le creazioni di talentuosi artigiani della moda. Un parallelismo che dà manforte a quell’idea di unicità e di esclusività, che passa attraverso la cultura dell’hand made ed è in grado di orientare le scelte e le suggestioni, stimolando l’individuazione di nuovi marchi e di giovani designer. Nel quartiere Parione si sono concentrate svariate attività, con l’intento di convogliare entro uno specifico perimetro urbano una fascia di pubblico ampia, trasversale e attenta. Esperimenti alchemici, invece, negli spazi del Ponte, con gli abiti di Conny Groenewegen, designer olandese che spicca per i suoi giochi con la maglieria e l’intreccio dei materiali: l’abito si fa così scultura duttile, impalpabile ma resistente, meravigliando con l’incontro inatteso tra leggerezza e rigidità, solidità e fluidità. In contemporanea, nell’ambito della mostra “Questo soltanto e nulla più”, la galleria ha ospitato una performance di Myriam Laplante. Pietra filosofale a parte, dall’alchimia alla matematica il passo è breve, tanto che da Emmeotto è andato in scena il Teorema di Simone Rainer: borse come accessori geometrici, che nella forma perfetta del triangolo racchiudono il senso eterno e universale di un’icona di moda che si rispetti.
A esplorare il mondo dei cappelli, accessorio antico reinventato in mille declinazioni, ci ha pensato invece Altalen, nuovo spazio milanese di sperimentazione, con un’attenzione particolare rivolta all’artigianato di qualità, al gusto per il retrò e agli innesti fantastici tra classico e contemporaneo, arcaico e futurista. Ci sono poi stati i gioielli tridimensionali di Stefania Lucchetta, esposti da Marie-Laure Fleisch: micro-strutture architettoniche che si adattano al corpo, tramutando rigorosi calcoli matematici in assemblaggi poetici, tutti da indossare.
Borse e ancora borse da The Gallery Apart, con le creazioni-bijoux di Badura, pensate per una donna-icona immaginaria: Sophie. Colei che in sé racchiude quell’ineffabile, contraddittorio senso di necessità, associato a un’intrigante idea di “lusso” sempre più inteso come modus vivendi se rapportato alla moderna accezione di appagamento del desiderio, tensione verso la perfezione e resistenza alla caducità del banale.
Haans Nicholas Mott, con il suo fashion show “These are eyes in the darkness”, invece, è stato ospite di Monitor. Un appuntamento con la genialità incontenibile di un artista/artigiano, che dipinge storie per immagini dedicate al dandy contemporaneo, chic, alternativo, estroso, infaticabile flâneur del proprio tempo. Infine, da Z2O di Sara Zanin Paolo di Landro ha allestito un laboratorio in progress insieme a Miltos Manetas. Spazi di condivisione eccentrica, nei quali si sono inventati speciali tragitti per esploratori del presente, in cerca di identità e di direzioni, come di abiti, forme, segni, stili, outfit.
 A chiudere il percorso, lo special event allo Spazio Innocenzo X, dove l’artista Sissi ha tracciato una bozza autobiografica utilizzando un catalogo di abiti indossati, manipolati, trasformati: due proiezioni, “Archivio Addosso” e “Archivio Onme“, hanno attinto a un repertorio personale che va dal 1998 al 2010.
E per i più esigenti, sempre nell’ambito di Artisanal Intelligence, è stata pensata A.I. Fairfuture, un’incursione nel mondo della tecnologia. Grazie all’applicazione della piattaforma Arduino, dieci prodotti di alto artigianato sono stati presentati in modo contemporaneo, in un geniale incontro di tradizione e innovazione. La ricetta vincente? Essere on-line, ma restituire qualità tattile e dettagli dei prodotti, stabilendo confronti utili tra marchi diversi e promuovendone la vendita. Fotografia rotante, angolazioni molteplici, altissima definizione, interattività, gestione di luci e ombre: un sistema hi-tech efficace, che ha sfruttato il potere della rete e la potenza comunicativa delle immagini digitali. L’ideale, in un momento in cui l’e-commerce – con i suoi costi modici e la sua diffusione capillare 2.0 – rappresenta una concreta possibilità di sviluppo per chi vive di creatività e mercato.
Un percorso innovativo con cui valorizzare l’eccellenza e il saper fare italiano, senza perdere di vista il radicamento con la tradizione e puntare con sempre maggiore consapevolezza al futuro.

lunedì 28 gennaio 2013

PEOPLE_Eugenio Marinella: la storia di uno stile







Correva l’anno 1914 e alla vigilia della Prima Guerra Mondiale, Eugenio Marinella, con ardore e tenacia, decide di dare avvio a quella che sarebbe divenuta una storia di successo dal sapore tutto napoletano. Una storia che esporterà la tradizione manifatturiera, l’abilità manuale e il culto dello stile oltreoceano, sdoganando il made in Italy come caratteristica principe per prodotti di pregio. Animato da una forte dose d’intraprendenza e convinto che fosse giunto il tempo di vestire l’uomo che conta, Eugenio apre una bottega in Piazza Vittoria sull’elegante Riviera di Chiaia di Napoli, allora come oggi, uno dei più bei lungomare d’Italia. Un piccolo spazio, di soli 20 metri quadrati, situato però in una posizione strategica: davanti, infatti, vi passeggia tutta l’alta società napoletana, da sempre incline a vivere e interpretare l’eleganza nel suo significato più autentico. Complice la lungimiranza e la curiosità di Eugenio Marinella, sempre più intento a compiere viaggi internazionali in una mecca dello stile sartoriale maschile come Londra, in men che non si dica il negozio diviene un piccolo scrigno di preziosi tesori di raffinatezza, quintessenza di gusto e maestria. Per dirla in breve: un piccolo angolo di Inghilterra a Napoli. Marinella è il solo a proporre nella città partenopea lo stile inglese, declinandolo in una vasta gamma di prodotti esclusivi provenienti direttamente dalla capitale d’oltremanica. A corollario, un ambiente cortese, disponibile e ospitale: un salotto più che un negozio, che mette al centro dell’attenzione la persona e le relazioni umane.
Contrariamente a quanto si può pensare, agli albori della sua attività, Eugenio focalizza l’attenzione sulla camicia, vera regina del guardaroba maschile. Spinto dalla ricerca dell’eccellenza allo stato puro, convince alcuni artigiani camiciai di livello a trasferirsi da Parigi per indottrinare i suoi operai circa l’arte del taglio. All’epoca, le cravatte sono realizzate esclusivamente in sette pieghe: il quadrato viene piegato sette volte verso l’interno in modo da conferire una consistenza incomparabile. Soltanto più tardi farà la sua comparsa la cravatta attuale con la struttura interna.
Il negozio, sorto in prossimità di uno dei più importanti eventi storici, ha seguito l’evoluzione del tempo, percorrendone peripezie e vicende: le due guerre mondiali, il declino dell’antica nobiltà, l’avvento della nuova borghesia, la comparsa di prodotti americani che implicano rilevanti cambiamenti della moda. Sempre attento alle evoluzioni sociali e culturali, Eugenio non demorde, bensì decide d’imprimere una radicale rivoluzione alla sua attività: interrompere la produzione di camicie a favore della cravatta, che diviene così il prodotto per antonomasia della Maison Marinella.
Nei mitici anni ’80, il marchio è protagonista di un’espansione e di una celebrità impensabili: l’allora Presidente della Repubblica nonché amico di famiglia, Francesco Cossiga, diventa “ambasciatore” dello stile targato Marinella, adottando l’abitudine di portare in dono a capi di stato, in occasione di visite ufficiali, una scatola contenente cinque cravatte Marinella. Per il marchio comincia un’ascesa inesorabile che lo porta a conquistare il mondo intero.
Oggi come allora, la tradizione e l’eccellenza sono il leitmotiv della Maison, complice la passione con cui la terza generazione della famiglia, capitanata da Maurizio Marinella, dirige l’attività in un’ottica di contemplazione dell’eleganza e della qualità.
Nel tempo, si sono avvicendati tra i clienti volti noti e prestigiosi: Luchino Visconti ne ordinava moltissime, tutte con fondo blu o rosso, sfoderate come foulard che coordinava a coloratissimi fazzoletti da taschino di seta indiana; Aristotele Onassis ne comprava dodici per volta, rigorosamente nere in modo da scoraggiare gli interlocutori e non far mai trapelare di che umore fosse. Le cravatte Marinella sono state al collo degli uomini più eleganti e famosi: in bottega è custodito gelosamente il libro delle firme dove sono contenuti gli autografi di molte teste coronate e presidenti di stato, alti esponenti della politica e dell’imprenditoria, della cultura e dello spettacolo.
A testimoniare e autenticare il prestigio del marchio E. Marinella, i due illustri blasoni che lo affiancano sin dalle origini: quello dell’Ordine della Giarrettiera, quale fornitore della Casa Reale Inglese, e lo Stemma Borbonico. Nel corso di quasi un secolo di attività, molti sono stati i riconoscimenti ricevuti, volti a ufficializzarne il prestigio e l’eccellenza.
La produzione firmata E. Marinella ha saputo mantenere intatto il culto delle materie prime e della produzione, realizzando cravatte “napoletane veraci” ma allo stesso tempo ispirate a un “british style”. Un vero e proprio simbolo di eleganza. Un nodo d’autore.
La moda della cravatta è sicuramente cambiata, ma non lo sono le case delle pregiate sete inglesi che da tre generazioni forniscono la materia prima per simili capolavori dello stile. Twill e seta sono i tessuti più utilizzati, declinati in pois, tinte unite e piccole fantasie in innumerevoli varianti di colori e combinazioni per realizzare cravatte sempre diverse tra loro ma comunque emblema di gusto. Il segreto di una vera cravatta Marinella risiede nella fattura: prerogative irrinunciabili sono la particolare imbottitura e il rinforzo del nodo, soggetto, più delle altre parti, alla compressione e all’usura. La larghezza e l’imbottitura del nodo variano secondo i gusti, così come la larghezza e la lunghezza in base all’altezza della persona che la indossa, realizzando, in tal modo, un innovativo servizio su misura applicato alla cravatta. Le creazioni E. Marinella sono tagliate e cucite a mano, una ad una, dalle sarte nel laboratorio di Napoli; soltanto quattro esemplari uguali possono essere ricavati da un unico pezzo di seta pura di 100x130 cm, stampato in Gran Bretagna nelle fantasie a microdisegni divenuti la cifra stilistica della Maison. Quelle a cinque, sette e nove pieghe costituiscono varianti più preziose rispetto al modello classico: necessitano di una lavorazione più complessa, che richiede almeno tre ore di tempo e un impiego maggiore di tessuto, uno speciale twill di seta che viene ripiegato su se stesso ben cinque, sette o nove volte, dall’esterno verso il centro, conferendo una corposità per così dire naturale alla cravatta che in questo caso non richiede l’ “anima” d’imbottitura.

Dulcis in fundo, per un vero dandy man, il decalogo dello stile secondo Eugenio Marinella:
  1. come in tutte le cose, anche per la cravatta è una questione di misura. Quella giusta è compresa tra gli 8,5 e i 9,8 cm nel punto più largo;
  2. il nodo deve essere fatto senza stringere troppo, per evitare l’effetto “impiccato”. Disfarlo sempre la sera e appendere la cravatta ben tesa durante la notte;
  3. avere la stoffa giusta. E quindi, seta jacquard per le regimental, seta più leggera invece, tipo foulard, per gli stampati, fantasie per le cravatte dal tono elegante, lana a righe o fantasie scozzesi per l’abbigliamento invernale sportivo;
  4. una cravatta per ogni occasione. Al mattino preferirne una chiara e di fantasia, la sera optare per una più scura
  5. non farsi consigliare né tantomeno demandare ad alcuno la scelta della cravatta. L’unica regola a cui affidarsi è l’istinto;
  6. da evitare: i disegni molto grandi e vistosi, quelle con un unico disegno centrale ma anche quelle troppo smorte e anonime. Da ricordare che la cravatta rivela il carattere;
  7. da preferire: quelle in tinta unita in colori decisi, piccoli disegni (pois, losanghe, quadretti, rombi, piccole stampe cachemire), righe trasversali di due o tre colori al massimo;
  8. i colori: la cravatta deve staccarsi dall’abito e dalla camicia. Deve essere di colore più scuro della camicia e più intenso di quello della giacca. Pur essendo spesso l’unica nota colorata di un abbigliamento serioso, meglio non esagerare! Da evitare il verde pisello, il giallo canarino, il rosso fuoco e il rosa confetto. Più scuri, senza essere anonimi, i bordeaux, i rossi scuri, i blu, i verdi e i marroni;
  9. l’abbinamento con la camicia è un campo minato in cui solo il buongusto può guidare. Da evitare, in ogni caso, la sovrapposizione di una cravatta dal disegno fitto su una camicia a quadretti o l’abbinamento “tutto righe” di una cravatta regimental, camicia rigata e giacca in tessuto operato;
  10. mai il coordinato cravatta + fazzoletto da taschino. È un’inutile quanto anacronistica affettazione. Evitare sempre di avere un aspetto d’insieme troppo curato e optare per un’eleganza decontractée.  

venerdì 25 gennaio 2013

ABOUT_Le calze di seta







Correva l’anno 1939 e la storica accoppiata Danzi e Bracchi interpretava la canzone dal celeberrimo ritornello “Saran belli gli occhi neri, saran belli gli occhi blu, la le gambe, ma le gambe…a me piacciono di più!”. Protagoniste loro - le gambe -, osannate e idolatrate nella loro femminile sensualità, enfatizzata da inguainanti calze di seta che ne mettevano in risalto la seducente conformazione: caviglie sottili, polpacci affusolati e, al contempo, torniti, con la cucitura a sottolinearne la perfezione e a suscitare l’immaginario maschile. Un accessorio per la donna che diviene immancabile, tanto da sposarsi alle più disparate occasioni: calze di seta artificiale per “tuttuso”, di seta pura per la sera e gli appuntamenti mondani, declinate soprattutto nelle nuances nudo, cipria, biondo, bronzo, fumo e, dulcis in fundo, nero. Quello stesso nero che, decenni precedenti – nel 1893 - aveva contribuito a rendere celebri le gambe di Jane Avril immortalate da Henri Toulouse-Lautrec, così come quelle delle étoiles dei tabarins parigini, alle quali spettava l’onore di chiudere gli spettacoli a passo di cancan. Passa il tempo, ma non cambia il loro potere seduttivo: mezzo secolo più tardi, sempre loro concorrono a eleggere a simbolo di seduzione le gambe di Marlene Dietrich ne L’Angelo Azzurro. Non da meno, sebbene più spesse e coprenti nella versione in cotone, sono le calze indossate dalla procace e ultrasexy mondina Silvana Mangano in Riso Amaro, e di Laura Antonelli in Malizia; mentre di seta sono quelle della provocante Sophia Loren, protagonista di un memorabile spogliarello davanti a uno straordinario Marcello Mastroianni in un episodio di Ieri, oggi, domani di De Sica: una scena indimenticabile della storia cinematografica, tanto da essere ripresa trent’anni più tardi, con i medesimi attori, nel film Prêt-à-porter di Robert Altman. Forse meno esplicite, ma non per questo meno famose, le calze bianche di Anne Bancroft ne Il laureato: perché, nel tempo, le calze sono passate per diverse tinte, senza però perdere di fascino e intrigo. Il bianco, in particolare, vanta una prestigiosa estimatrice del calibro di Giuseppina Beauharnais, la quale ne possedeva ben 148 paia, alle quali alternava tonalità come il rosso o l’azzurro. Di color gridellino (fra il nero e il viola), invece, quelle dell’eroina dannunziana de L’Innocente. Cinema e letteratura a parte, le calze di seta vantano un loro trascorso anche nel guardaroba maschile, annoverando un estimatore del calibro di Enrico VIII che, insieme ai suoi gentiluomini, le indossava – azzurre o cremisi – ricamate in oro nella parte alta e con pietre in quella inferiore.
Tornando al côté femminile, tradizione vuole che tutto ciò che è nascosto alla vista stimoli e intrighi molto di più di quanto è costantemente sotto gli occhi. E così anche alle gambe è toccata questa sorte. Nel 1913 si cominciano a scoprire le caviglie; poco dopo, il trottuer (progenitore del tailleur) fa rialzare le gonne: et voilà! le gambe in bellavista, pronte a scatenarsi, volteggiare e scattare a ritmo di charleston, shimmy, one step, piuttosto che a muoversi sinuose con languidi tango. Sono gli anni in cui incomparabili abiti, ricamati e cortissimi, dalla meravigliosa foggia firmata Poiret, richiedono gambe e calze perfette, caricandosi di un’impareggiabile impronta sensuale. Le calze diventano così sempre più importanti per definire una mise e, al tempo stesso, valorizzare la donna che le indossa nella sua femminilità più autentica. La scelta non deve essere lasciata al caso, ma ponderata in considerazione dell’abito che si va a indossare. Un’importanza tale da indurre un industriale del settore, Pilade Franceschi, a istituire a Milano, in via Manzoni, il Museo Storico della Calza. Nel frattempo, complice il crescente culto estetico dedicato, si rinforzano le parti più soggette a usura (punta, tallone, talvolta anche pianta) e, grazie alla ricerca, la seta artificiale diviene meno lucida. Durante il secondo conflitto mondiale, vista la ristrettezza delle materie prime, le calze di pura seta diventano sempre più rare. Inoltre, data la delicatezza di questo indumento e la facilità con cui si smaglia, ecco svilupparsi la figura della ricamatrice. Le calze di seta assumono così il carattere di un regalo prezioso e ambito, portando le ragazze dell’epoca a guardare con invidia chi le indossa. Finita la guerra, è la rinascita di gambe e calze: nel 1946, l’attrice hollywoodiana Linda Darnell si fa fotografare mentre infila le gambe nelle prime “calze di vetro”, fatte su misura per lei. Betty Grable, invece, sgambetta a tutto spiano e Rita Hayworth diventa un emblema di seduzione ancheggiando e togliendosi i celeberrimi lunghi guanti, lasciando intravedere le gambe attraverso alti spacchi nella gonna. Nonostante questa rinascita, le calze di seta restano un indumento prezioso: 800 lire le 60 aghi, 600 le 54 aghi, considerando che gli stipendi medi sono poche migliaia di lire. Le pubblicità cominciano a dispensare consigli, come, per esempio, il fatto che la calza con la cucitura dia più slancio alla gamba, o a suggerire i colori in considerazione della tavolozza degli abiti. Nel dopoguerra fanno la loro apparizione le calze di nylon, che non possiedono però la carica erotica di quelle in seta. Accanto alle classiche in tinta unita, compaiono quelle a rete, di pizzo, decorate, stampate; calze indemagliabili e autoreggenti; con fili d’oro o d’argento per la sera. Il nylon e le altre fibre artificiali portano a un lento e graduale tramonto delle calze di seta. Tuttavia, il loro potere seduttivo rimane ineguagliabile. Perché come le aveva definite Diana Vreeland, esse rappresentano “il vestito più sensuale per una donna”. 

mercoledì 23 gennaio 2013

BOOK_Pagine di moda













Gianni Versace. La biografia
di Tony Di Corcia, Lindau

La vita di Gianni Versace possiede i toni della favola e quelli della tragedia. La favola è quella di un ragazzo meridionale, figlio di una sarta di Reggio Calabria, che si innamora della moda nel negozio di famiglia e diventa in pochi anni uno degli stilisti più affermati al mondo, idolatrato dalle donne più celebri (da Madonna a Lady Diana, per fare solo due nomi), ma capace anche di realizzare strabilianti costumi per i balletti di Maurice Béjart. La tragedia, che sorprese il mondo intero, è quella del suo assassinio, avvenuto a Miami il 15 luglio 1997. Timido e riservato, ma autore di una moda seducente ed eccessiva, Versace è stato un uomo dai molti contrasti: radicale innovatore e geniale provocatore, ma anche profondo conoscitore della tradizione sartoriale; cosmopolita a suo agio ovunque, ma anche italiano legatissimo alle sue origini calabresi; imprenditore di successo, ma anche artista d’avanguardia. A quindici anni dalla morte, questa biografia ripercorre le tappe principali della sua vita e del suo percorso artistico e svela, attraverso la testimonianza degli amici più intimi e dei collaboratori più stretti, una personalità molto diversa da quella un po’ superficiale divulgata dai giornali. Prefazione di Giorgio Armani.


50 anni di Amica
Rizzoli

"Amica", nato come settimanale femminile di costume e società del "Corriere della Sera", con un nome scelto da Dino Buzzati, ha incrociato tutti i maggiori eventi del suo tempo. Nei suoi cinquant'anni di vita ha lanciato e seguito stilisti, modelle, attori, cantanti, personaggi e fotografi, cercando sempre di proporsi in modo sorprendente e non convenzionale. Questo libro, costruito principalmente sull'immenso archivio di "Amica" e con il contributo grafico di Flavio Lucchini, rispecchia la ricchezza di contenuti, la ricercatezza grafica e la qualità fotografica di una grande storia editoriale ed è arricchito da interventi dei direttori del passato, dei grandi fotografi e degli stilisti e di firme prestigiose.


Storia della moda a Roma. Sarti, culture e stili di una capitale dal 1871 a oggi
di Cinzia Capalbio, Donzelli

La storia della moda italiana in età contemporanea è legata a filo doppio con la vicenda della sua capitale. Se molti altri luoghi hanno contribuito nel tempo al radicamento di una filiera produttiva di estrema importanza per il paese, è certo che il centro di irradiazione di ogni nuova tendenza, il luogo di raccolta delle firme che hanno dettato legge, delle botteghe più innovative, dei punti di eccellenza dello stile italiano è stato Roma. Il 1871 è la data da cui il volume prende le mosse: la tesi essenziale è che Roma capitale inauguri una storia fondamentale per ciò che riguarda la sartoria maschile e femminile italiana. L’insediamento della corte sabauda, l’avvento del personale «ministeriale», con i suoi nuovi standard di vita e di consumo, la socializzazione delle donne nei salotti e nei caffè sono all’origine di una vera e propria «corsa a Roma» dei migliori sarti da tutte le province italiane. È così che comincia una storia destinata a crescere in modo vorticoso: dalle vetrine e dai negozi della Roma di fine Ottocento alla nascita degli abiti confezionati e dei grandi magazzini di inizio Novecento; dall’avvento della moda «autarchica», con i primi tentativi di indipendenza dai modelli femminili alla francese e maschili all’inglese, alla costruzione delle prime case di moda e all’affermazione delle griffes dell’alta sartoria romana; dalla svolta del secondo dopoguerra all’incontro con il cinema, fino alla costruzione di un vero e proprio Sistema moda romano. Si giunge, infine, attraverso un percorso storico – impreziosito da un parallelo itinerario per immagini –, agli ultimi decenni, caratterizzati dal persistere di una forte impronta creativa e di una grande capacità di attrazione della moda romana, pur nel complesso delle trasformazioni industriali che hanno profondamente interessato il settore.


Vivienne Westwood
di Jones Terry, Taschen

Grazie agli articoli e alle fotografie conservati negli archivi della celeberrima rivista di moda i-D, questa monografia offre al lettore una particolare panoramica della produzione della stilista inglese. Tramite le interviste rilasciate dai primi anni della sua carriera, caratterizzati dal celebre stile punk, fino ai giorni nostri, conosceremo le sue idee in fatto di crinoline e moda. Il fascino di Vivienne continua tuttora ad attirare nuovi fan che la scoprono per prima volta, così come tutti gli aficionado che hanno seguito le varie fasi della sua carriera. Il volume è uno splendido viaggio nella storia di questa artista della moda, ricco di informazioni biografiche, interviste e fotografie di autori quali Juergen Teller, Nick Knight e Chen Man.


In Vogue. La storia illustrata della rivista di moda più famosa del mondo
di Norberto Angeletti e Alberto Oliva, Rizzoli  

Un libro con la storia della rivista di moda più prestigiosa al mondo riproposto in una nuova edizione 2012, arricchita con le annate più recenti. Centinaia di copertine e immagini d'archivio raccontano il percorso di Vogue a partire dai suoi inizi come gazzetta mondana fino alla sua evoluzione come icona delle riviste di stile. In queste pagine sono riprodotti i lavori di alcuni fra gli artisti, gli illustratori e i fotografi più importanti del ventesimo secolo: Edward Steichen, Toni Frissel, Erwin Blumenfeld, Irving Penn, Richard Avedon, Helmut Newton, Annie Leibovitz, Mario Testino, Steven Klein, Bruce Weber e Herb Ritts. Grazie a una meticolosa ricerca, gli autori hanno raccolto i commenti di personaggi come Anna Wintour, attuale direttrice di Vogue, Grace Mirabella, direttrice dal 1971 al 1988, Kohle Yohannan, scrittore e storico di arte e design, oltre a interviste con editor e fotografi. Il libro è inoltre arricchito da un saggio di Susan Sontag, che collaborò a lungo con la rivista, e da articoli scritti da molti personaggi di fama mondiale, fra i quali Truman Capote, Aldous Huxley, Richard Burton e Federico Fellini. Prefazione di Franca Sozzani.


Bottega Veneta
di Thomas Maier, Rizzoli

Il percorso di Bottega Veneta affonda in un tempo in cui il marchio era conosciuto soprattutto per le morbide borse in pelle di fattura artigianale. Famosa in tutto il mondo per la pelletteria dalla particolare lavorazione a intreccio, oggi la maison è nota anche per l'incredibile gamma di prodotti di lusso che comprendono valigeria, gioielli, arredi, accessori per la casa, orologi, profumo, prêt-à-porter uomo e donna e molto altro. Oggi, come allora, il marchio è sinonimo di raffinatezza discreta e individualità ricercata, sintetizzate nello slogan "When your own initials are enough". Questa monografia è il risultato di uno sforzo congiunto tra il direttore creativo, Tomas Maier, il consulente d'immagine Sam Shahid, e molte delle firme di punta del giornalismo di moda.


Coco Chanel. Genio, passione, solitudine
di Claude Delay, Lindau

Chanel salutò per l'ultima volta Claude Delay una domenica pomeriggio, sul marciapiede davanti all'hotel Ritz, dove abitava a Parigi. Morì poche ore dopo, sola, nella sua stanza. Era il 10 gennaio 1971. Il ritratto di Chanel scritto dalla Delay inizia così, "dalla fine", da un'intimità nata dieci anni prima nella boutique Chanel di rue Cambon, tra la grande signora della moda e una giovane cliente: una affinità divenuta nel tempo un'amicizia vera, quotidiana, senza segreti, cui Chanel si affidò con crescente fiducia raccontando di sé, delle ferite dell'infanzia, dei suoi abiti, dei successi e delle sconfitte. E, naturalmente, degli uomini della sua vita: il padre Albert, il grande e tragico amore Boy Capel, gli amanti famosi - il duca di Westminster, il granduca Dimitri Romanov, Pierre Reverdy, Paul Iribe -, gli amici celebri, come Djagilev, Picasso, Misia Sert, Cocteau, Colette. Il racconto di Claude Delay rappresenta un caso a sé nella lunga serie di libri dedicati a Chanel perché riproduce con assoluta fedeltà la "voce" stessa della creatrice di moda, le sue emozioni, i suoi pensieri, i suoi sentimenti, senza intenti celebrativi, ma con l'obiettivo di far conoscere una donna che fu eccezionale, ma anche infinitamente naturale.


Verusckha. La mia vita
di J. Jorn Rohwer e Vera Lehndorff, Barbes

Veruschka. In tutto il mondo si conoscono il suo nome, il suo corpo, il suo volto. Ora per la prima volta la più grande top model di sempre racconta la sua vita avventurosa in un appassionato libro-intervista. Vera, contessa von Lehndorff, nata nel 1939 in Prussia, è figlia di uno dei colonnelli che organizzano l'"Operazione Valchiria" per uccidere Hitler. Il difficile dopoguerra, l'adolescenza con le sue insicurezze e il trauma per la morte del padre, sempre presente. E poi le prime esperienze da modella, Firenze, Parigi, New York, con l'"invenzione" di Veruschka e l'entrata nell'Olimpo delle star, primo volto della moda a trascendere le copertine delle riviste. La collaborazione con Richard Avedon, Irving Penn, Diana Vreeland, Salvador Dalí, Andy Warhol e il cinema con "Blow-Up" di Michelangelo Antonioni. E poi l'invenzione della Body Art, fino ai giorni nostri. Un racconto profondo e forte, senza filtro, che attinge dai ricordi di Vera, dai suoi diari e dagli articoli dell'epoca, in una lunga intervista-biografia redatta da Jörn Jacob Rohwer, che mai nasconde o attenua i lati in ombra di Vera-Veruschka, del mondo della moda e dell'arte americana ed europea.


La Perla. Lingerie & desiderio
di Isabella Cardinali, Rizzoli

La raffinatezza di un capo di lingerie che vela e rivela il corpo è il sogno di tutte le donne che vogliono accendere il desiderio e sentirsi protagoniste. Questo volume racconta il mondo della seduzione nei suoi aspetti più sofisticati ed evocativi, complici le oltre duecento immagini intense ed emozionanti a firma di grandi fotografi internazionali, da Vincent Peters a Marino Parisotto, da Nadir a Dominique Issermann, da Michelangelo di Battista a Mary Rozzi. Un tributo alla bellezza e alla sensualità del corpo femminile nelle creazioni di un marchio esclusivo del made in Italy che esalta la tradizione e la qualità artigianale.


Essere uomo. Guida allo stile
di Glenn O’Brien, Piemme

Firma di "Vanity Fair", per cui cura la rubrica "Il Grande Glenn", O'Brien è famoso per il suo gusto e il suo humour. Li usa entrambi, oltre a una massiccia dose di cultura e buon senso, per descrivere cosa fa di un uomo un uomo, e come dovrebbero comportarsi gli uomini di oggi per essere tali. Una guida di stile e bon ton per il gentiluomo moderno, veramente a 360 gradi: dagli aspetti più esteriori ed estetici al comportamento, alla comunicazione in ogni ambito, fino a temi come la vecchiaia, la malattia, l'immortalità. Un libro che nutre sia la vanità che la mente. "Gli uomini devono seguire la loro unicità, ritornare a essere individui, vestirsi e comportarsi come uomini e non come bambini cresciuti. Seguire la moda ha portato alla conformità e all'uniformità. Lo stile, invece, può cambiare il mondo."


Look Book. L’abito giusto per ogni occasione
di Nina Garcia, De Agostini editore

Che cosa si deve indossare per un colloquio di lavoro? E per il primo appuntamento? Qual è il look ideale per un matrimonio o per un brunch con le amiche? Per ogni occasione esiste l'abito giusto, c'è sempre un dress code, più o meno esplicito, per essere eleganti e adeguate alla situazione. Nina Garcia, unendo competenze fashion e buon senso, spiega in modo utile e divertente come abbinare i vari capi, che cosa evitare e come completare ogni outfit con il trucco e l'acconciatura giusti. Che si tratti di eventi speciali o semplicemente della vita di tutti i giorni, ci mostra i capi, gli accessori e le strategie per destreggiarci con raffinata disinvoltura in qualsiasi contesto. Le illustrazioni di Ruben Toledo e tante brillanti citazioni conferiscono al volume un ulteriore, fresco tocco glamour.