venerdì 28 settembre 2012

PEOPLE_Scott Schuman: la moda dello street style


















Negli ultimi anni, nel campo della moda è avvenuta una piccola ma significativa rivoluzione: dalle strade sono emerse tendenze e dettami in fatto di arte del vestire, che hanno affiancato le canoniche presentazioni e passerelle stagionali. Niente a che vedere con la cifra stilistica di un brand, bensì con la personale reinterpretazione di gusto e abbigliamento che ciascuno di noi opera quotidianamente nel rituale gesto del vestire per uscir di casa. Et voilà! che lo street style, di diritto, ha preso il posto che gli spetta nella bibbia dei comandamenti del glamour, suggerendo spesso agli stilisti abbinamenti e tendenze. Moda e vita sono arrivate in tal modo a sancire un sodalizio che probabilmente, in modo latente, le accomunava già da tempo. Ora tutto avviene alla luce del sole: la prima dalle passerelle scende nelle seconde per essere rivista e interpretata sulle specifiche esigenze, le quali rimandano, di riflesso, suggerimenti e istanze di particolari necessità. Si assiste a una moda, per così dire “vissuta”, testata dalla quotidianità delle situazioni nelle sue specifiche più pratiche e attitudinali. Sicuramente permangono notevoli differenze, quali l’aspetto spettacolare e scenografico della moda – esasperato dai teatrali fashion show, summa enciclopedica dell’estro dello stilista – rispetto a quello più essenziale e pratico dello street syle, quintessenza di quello che realmente è necessario per vestirsi con gusto in ogni occasione della giornata; l’esclusività della prima e la democraticità del secondo, per il quale – a volte ahinoi – ciascuno diventa stilista di se stesso; la stagionalità versus la quotidianità eterna. Tuttavia, si tratta di differenze intrinseche e congenite alla natura stessa e formale di queste due entità. Nella sostanza, vi è un’influenza reciproca, che genera un virtuosismo d’ispirazioni e visioni, l’una complementare all’altra.
Il primo a dar manforte allo street style, tanto da eleggerlo a vero canone di tendenza a cui ispirarsi, è sicuramente Scott Schuman, forse meglio noto al grande pubblico con lo pseudonimo “The Sartorialist”.
Nato a Indianapolis nel 1968, dopo gli studi universitari in fashion merchandising, lavora per maison del calibro di Valentino e Onward Kashiyama. Dopo 15 anni trascorsi nel fascinoso mondo della moda, decide, quasi per scherzo, di cambiare punto di vista e dà vita al suo progetto “The Sartorialist”, divenuto in breve tempo celebre in tutto il mondo e fondato su un semplice principio-guida: condividere fotografie di persone incontrate casualmente per le vie di New York e notate dallo stesso Schuman per il look indossato, vuoi perché bello ed elegante, formale ma chic, eccentrico ma sofisticato. Insomma, quale che sia la chiave di lettura alla base di un outfit, l’importante è che sia caratterizzato da un ingrediente immancabile: lo stile. Uno stile che diventa sinonimo di buon gusto, praticità formale, nonchalance comportamentale, ricerca del dettaglio e cura degli abbinamenti, culto estetico ed immediata resa elegante. In poche parole, sapersi vestire, ma forse, ancora di più, saper indossare i propri abiti, trasferendo in essi la nostra personalità e le nostre caratteristiche e diventando un tutt’uno con il proprio outfit. Spinto dalla consapevole presa di coscienza della notevole discrepanza tra quanto viene venduto negli showroom e quello che viene poi effettivamente indossato dalle persone, Schuman intraprende questa sua personale avventura nel mondo dello stile, creando un dialogo a doppio senso tra la moda e la vita quotidiana.
Ecco come nasce nel 2005 “The Sartorialist” (www.thesartorialist.com): un blog che mette in evidenza attraverso gli scatti fotografici che cosa indossano uomini e donne nel loro “viaggio” quotidiano, a spasso nella frenesia urbana.
Scatti che tendono a immortalare outfit, ma al contempo diventano forma d’arte, rivelando una costruzione formale di tutto rispetto: la luce calda e infusa permea ogni immagine, invitando lo spettatore ad addentrarsi in quest’avventura. Un’esplorazione che termina con la consapevolezza delle principali differenze tra moda e street style, tra passerella e cammino nella quotidianità giornaliera, nell’esaltazione concertata di tutti quei tratti demografici che dettano un’ulteriore differenza tra questi due universi: appartenenza etnica, classe sociale ed economica, età e sesso. Il blog in breve tempo si è affermato a livello mondiale come punto di riferimento dei codici vestimentari nonché rappresentazione della società e delle sue evoluzioni estetiche: ora è un magico e continuo confluire di suggerimenti forniti quotidianamente dalle persone di ogni razza e appartenenza circa la moda e il senso dello stile o del vestire. Una fucina d’idee che in molti casi diviene fonte d’ispirazioni per stilisti e maison, che qui trovano risposte chiare e esaustive relativamente alle effettive necessità del glamour quotidiano.
Scott Schuman fa da trait d’union in tutto questo: scatta in modo digitale e posta le sue fotografie sul suo blog, visitato ogni giorno da circa 300.000 persone. Al popolo del web il resto del lavoro, con tanto di commenti e approfondimenti - ma anche critiche e bocciature - che arricchiscono le sue immagini, facendole diventare piccole antologie del senso dello stile. In men che non si dica, Schuman è stato eletto uno tra i 100 designers più influenti, nonostante non crei nulla ma, casomai, si limiti a riproporre il risvolto quotidiano della moda. La sua particolare visione l’ha così trasformato da un semplice documentare di stile a una vera e propria voce in capitolo, in grado di influenzare e dettare tendenze. Sicuramente gli va riconosciuto il grande plauso d’aver spostato l’obiettivo dalla pura creazione stilistica fine a se stessa alla democraticità del vestire con gusto e allo stile che ogni giorno ci circonda camminando per le strade. Per una moda che pur mantenendo la sua esclusività creativa strizza l’occhio con piacere alla rivisitazione quotidiana che ciascuno di noi da di essa, apportando modifiche e adattamenti che più si confanno alla propria persona e all’eccezionalità dell’occasione che si andrà a incontrare.  

giovedì 27 settembre 2012

STYLE_Sergei Grinko e le donne Solaris























Inutile negare i legami esistenti tra cinema e moda. Indubbiamente, infatti, rappresentano una delle liaisons artistiche più affascinanti degli ultimi tempi, che ha dato vita a veri e propri fenomeni di stile, mettendo ben in evidenza quanto sia importante la commistione tra forme espressive che, seppur diversamente, parlano il medesimo linguaggio. Tuttavia non è questa la sede per indagare e spiegare, nei limiti del possibile, le loro rispettive reciprocità e influenze, bensì per soffermarsi con piacevole incanto a una nuova contaminazione di queste due entità, fil rouge di una delle più eleganti e sofisticate collezioni per la prossima primavera/estate.
Stiamo parlando di Sergei Grinko e della sua linea donna denominata “Solaris”. Una definizione che già a pronunciarla dischiude un mondo fatto di visioni, rimandi ed emozioni, aprendo le porte a un universo magico e al tempo stesso glamour, dominato da note di raffinata eleganza e devoto senso del bello.
Andando più a fondo, senza troppi giochi di formalismi o similitudini, si scopre che “Solaris” è un chiaro tributo al celebre romanzo di S. Lem (1961), adattato per il grande schermo in ben due occasioni, a distanza di trent’anni l’una dall’altra, interpretate da due tra i più pregnanti e innovativi registi cinematografici della seconda metà del ‘900: il russo Andrej Tarkvskij (1972) da un lato e lo statunitense Steven Soderbergh (2002) dall’altro. Due rappresentazioni diverse per epoca, firma, impostazione scenica, contestualizzazione sociale e culturale, ma volte alla resa cinematografica di un romanzo che pone al centro dell’attenzione l’intrinseca consonanza tra l’essere umano e il suo luogo d’origine: la natura. Quella stessa natura tanto cara a Sergei Grinko, che ritorna con ardore in ogni sua collezione - vuoi sotto forma degli elementi che la compongono, vuoi come semplici rimandi o visioni - portando con sé la forza che la contraddistingue e, di riflesso, ne caratterizza la cifra stilistica nei volumi così come nei tagli, nei colori e nelle forme. Romanzo-film e collezione corrono paralleli, in una sorta di storia per immagini che corre veloce davanti agli occhi del pubblico. Tutto comincia da un’attenta e accurata osservazione di una piccola zona verde di campagna: qui il protagonista pare perdersi nei propri pensieri durante la contemplazione di uno stagno carico di mistero. Ecco la prima parte della collezione, realizzata in tessuti impalpabili color acquamarina: outfit preziosi che sembrano ridare vita a mitologiche creature marine, avvolte da meravigliose creazioni che sottolineano la sinuosità della silhouette, accompagnandola in ogni suo movimento e carezzandone leggiadramente ogni piccolo passo. Creature sospese a mezz’aria, in attesa di raggiungere la stazione orbitante attorno al pianeta Solaris e incontrare gli strani fenomeni provocati dall’oceano pensante, sostanza in grado di materializzare persone presenti soltanto nella mente dei tre scienziati rimasti sul luogo: una tappa obbligata per risolvere il grande mistero interiore generato dalla precedente visione. La trama prosegue con lo scorrere della collezione, i colori si fanno caldi, alternando a combinazioni visuali il bianco e il nero, vivificati nella loro essenza formale e semantica, nel rispetto di una corrispondenza biunivoca tra aspetto e contenuto, apparenza e concetto. Gli outfit si caricano di forza emotiva, accompagnano in modo scivolato il corpo, ma questa volta con forza e intrigo. Evocano in modo chiaro e definito, senza possibilità di doppie interpretazioni, ma con la sola energia dirompente tipica della natura. Filosofia, cinema e stile cantano all’unisono in una resa formale che rispecchia fedelmente il copione romanzato di un mondo artistico in cui tutto accade lentamente, proprio come in natura.
Un elemento, quest’ultimo, che ritorna nella poesia stilosa di Sergei Grinko, fiera di portare con sé i suoi elementi più affascinanti – la flora e la fauna – estetizzati nelle stampe esclusive su seta, tripudio di un’accurata enfatizzazione tridimensionale. La delicatezza è resa da un attento utilizzo delle nuances, che, in modo tenue ma caldo, spaziano dalla lavanda al pesco, al verde chiarissimo, fino all’indaco, intervallandosi per lasciare spazio a due grandi classi della tavolozza cromatica: il bianco e il nero.
La donna Sergei Grinko della primavera/estate 2013, quindi, ama vivere e muoversi in una dimensione elegante e raffinata, con capi dai tagli precisi e dalla silhouette definita, sulle note di uno stile bon ton ma al tempo stesso femminile. Una sofisticata sensualità la accompagna nel suo incedere quotidiano, complice un’orgogliosa consapevolezza della sua personalità. In una commistione di tempi e luoghi, un’allure da Belle Epoque sembra fondersi con tagli volumi futuristici e spaziali, che, insieme alle alte cinture e alle chiusure gioiello, configurano una vestibilità precisa ed elegante, prendendo ampi spunti da un grande classico del guardaroba femminile, il pigiama palazzo. 
A corollario, pregiati accessori completano gli outfit, nel rispetto di una resa evocata sempre in bilico tra forma e contenuto, a spasso nel tempo: spille e collane rivisitano in chiave futuristica il gioiello decò e ornano non solo gli stessi abiti ma anche le incantevoli borse e pochette. Grandi bijoux ed elementi applicati in polipropilene o metacrilato, inoltre, impreziosiscono le creazioni così come i 15 modelli di calzature, realizzati per l’esclusiva capsule collection Sergei Grinko for Pakerson e prodotti in Toscana dal notissimo marchio Pakerson®, sulla scia di quella tradizione squisitamente artigianale e dall’autentico retrogusto made in Italy.
Una collezione preziosa nei suoi significati così come nei suoi modelli, resi tali dall’eccellenza dei tessuti e dei materiali utilizzati: a farla da padrone, le sete con stampe esclusive, il tulle, l’organza, i cotoni doppiati e ammorbiditi dalla fibra di seta, ma anche la pelle sotto forma di impalpabile e leggerissima nappa.
Un tripudio di preziosità e artigianalità, di senso del bello e autentica devozione all’eleganza per Sergei Grinko, lo stlista russo dal cuore italiano, quintessenza di creatività, gusto estetico e trascendenza culturale

martedì 25 settembre 2012

PEOPLE_Ugo Mulas: la fotografia come ricerca concettuale









Ugo Mulas rappresenta a tuttotondo l’ideale di un artista legato al territorio e, al tempo stesso, devoto a una lungimiranza culturale che lo spinge a guardare oltre e a trasferirsi dalla provincia bresciana al fermento milanese, proprio negli anni del mitico Bar Jamaica, ritrovo d’intellettuali nonché soggetto privilegiato dei suoi primi scatti. Correva l’anno 1950 e oltre e, ben presto, Mulas comincia a dedicare anima e corpo al reportage e alla fotografia pubblicitaria e di moda, contribuendo a creare la nuova immagine internazionale dello stile italiano. I suoi lavori riscuotono subito l’approvazione del grande pubblico, occupando - di buon grado – le pagine di prestigiose riviste quali Illustrazione Italiana, Settimo Giorno, Domus, Rivista Pirelli e Novità, che nel 1966 diventerà Vogue Italia. Sulla scia di una sana contaminazione di visioni e interpretazioni, comincia a collaborare anche col mondo del teatro a fianco di Giorgio Strehler, realizzando per lui fotocronache di molti spettacoli. Affascinato dall’universo artistico, declinato in tutte le sue molteplici e differenti modalità d’espressione, segue personalmente tutte le Biennali di Venezia dal 1954 al 1972, mentre nella seconda metà degli anni ’60 si reca negli Stati Uniti per documentare la scena culturale newyorchese e personalità del calibro di Lichtenstein, Duchamp e Warhol. A causa di una grave malattia, nel 1970 è costretto a ridurre la sua attività: ciò non frena però il suo interesse per l’arte e inizia così la serie Verifiche, una riflessione sul lavoro svolto, visto attraverso una rilettura della storia della fotografia e improntato a scandagliare ogni implicazione concettuale. Una sorta di testamento artistico, summa esplicativa delle ispirazioni alla base del suo operato e della resa per immagini di stili, visioni e suggestioni. Il 2 marzo 1973 si spegne a Milano, ma il suo estro e la sua capacità visionaria non hanno mai smesso d’influenzare tutti coloro che nel tempo hanno deciso di seguire le sue orme. Numerose le mostre dedicate nei decenni al suo talento, tra cui New York: the New Art Scene (Milano, 1967), Ugo Mulas fotografo 1928-1973 (Ginevra, 1983 e Zurigo, 1985), Ugo Mulas. La scena dell’arte (Milano, Roma e Torino, 2007-2008), Ugo Mulas (Madrid, 2009). Esposizioni ma anche pubblicazioni, tra cui meritano di essere ricordate New York: arte e persone (varie edizioni, 1967), La fotografia (Einaudi, 1973), La scena dell’arte (Electa, 2007) e Vitalità del negativo nell’arte italiana 1960-1970 (Johan & Levi, 2010).
Celebrazioni visuali e illustrate di un genio artistico che non ha avuto eguali nell’evoluzione del linguaggio fotografico, nella sperimentazione e nello studio di tutti i possibili registri di un’arte ermetica ma precisa al punto stesso.
La sua è stata una carriera breve e da autodidatta, ma al tempo stesso folgorante, ricca di successi e apprezzamenti: in poco tempo, Mulas ha rivoluzionato il concetto di resa fotografica, indagandone gli aspetti più reconditi e immortalandoli nella loro più sublime essenzialità formale. Viaggiando per immagini, ne ha dimostrato le potenzialità intrinseche, svelandone la doppia natura di mezzo e idioma. La fotografia diviene così una sorta di Giano bifronte, dalle due facce sinergicamente ed eternamente legate a mostrare il meglio di sé in un’equilibrata convivenza dove una implica l’esistenza dell’altra. Una compensazione d’intenti e ispirazioni dalla doppia natura, ma dall’unica finalità: ritrarre la vita e gli istanti che ne scandiscono lo scorrere.
Ugo Mulas ama indagare ed esplorare, scoprire nuove realtà e lambire confini sconosciuti, svelare verità altrimenti celate, invitare alla riflessione sull’arte contemporanea. È stato complice dell’arte per avventurarsi – al tempo stesso – nei tecnicismi del linguaggio, senza perdere d’occhio la tendenza a introdurre idee innovative. Gli stilisti più importanti hanno collaborato con lui, beneficiando della sua interpretazione intellettuale quel tanto che basta perché porti sempre con sé quel tratto di magnifica leggerezza con il quale nobilitare gli abiti per mezzo d’immagini che evocano molto di più di quello che ritraggono.
Affascinato da tutto quanto risuona come sconosciuto, Mulas si è avventurato nei meandri della fotografia di moda proprio in quegli anni in cui rappresentava un terreno della comunicazione ancora inesplorato. A lui, quindi, il plauso di averlo scoperto, dandogli dignità artistica e innalzandolo a strumento per antonomasia della rappresentazione illustrata dello stile.
Le sue immagini balzano all’occhio per chiarezza concettuale, forza espressiva e meticolosa composizione formale. Complice e protagonista dei suoi scatti - oltre che autore -, Mulas non lasciava nulla al caso: amava scegliere le inquadrature, controllare le luci e strutturare le immagini. Ogni fotografia non era mai uguale alle precedenti, ma brillava orgogliosa di luce propria: al centro l’esaltazione dell’abito, inteso come suprema sintesi di creatività progettuale e cura artigianale. A fare da contorno, le commistioni artistiche tanto care a Mulas e volte a enfatizzare ancora di più il soggetto immortalato.
Immagini che appaiono come raffigurazioni essenziali, tripudio di scenografie inconsuete, che svelano tracce del linguaggio dell’arte contemporanea e un’immaginazione sconfinata