venerdì 29 giugno 2012

BOOK_Una nuova pubblicazione firmata Dior



















Abiti, gioielli, profumi: questi i tre settori creativi che hanno contraddistinto il tocco di Christian Dior, il couturier a cui va il plauso d’aver riportato in auge nel secondo dopoguerra una moda femminile, sontuosa ed elegante. Ma non solo…questi i tre filoni che, ancora oggi distintivi della Maison, vengono celebrati dalla nuova pubblicazione Dior a cura della casa editrice statunitense Assouline: un accattivante cofanetto composto da tre volumi che esplora le tappe del percorso creativo dello stilista. La penna di Caroline Bongrand ad accompagnare il lettore nel viaggio pindarico all’interno della sezione moda, mentre alle parole sagaci del critico Jerome Hanover (anche lui firma autorevole insieme alla Bongrand della rivista francese L’Officiel) le altre due dedicate a profumi e gioielleria. Tre volumi preziosi, arricchiti da patinate foto d’archivio e citazioni dello stesso Monsieur Dior, per raccontare la superba leggiadria delle sue creazioni nonché i momenti più memorabili della casa di moda: un parallelismo tra queste due realtà che ingloba totalmente il personaggio di Dior, uomo e stilista, mostrandone le peculiarità personali e professionali insieme. Un connubio ponderato e mistificato da cui prende vita una leggenda che ha caratterizzato la storia della moda nella sua accezione più elevata, tripudio di un’élitaria sofisticazione. La storia della Maison per molti tratti viene così a coincidere con quella della couture, assumendone per molti versi l’identità peculiare, rappresentata tramite linee, forme e volumi che contemporaneamente divengono l’emblema d’istanze sociali e valoriali che cambiano col passare del tempo. Si parte quindi dalla rivoluzionaria invenzione del New Look alla fine degli anni ’40 e dalle prime spettacolari campagne fotografiche realizzate da Richard Avedon, per arrivare ai direttori creativi che nel tempo si sono succeduti, mantenendo fede al lustro stilistico targato Dior, quali Yves Saint Laurent, Gianfranco Ferré, John Galliano. Un brand universalmente noto nel mondo del lusso, celebrato per la sua genialità, e al tempo stesso un nome che ha infuso nell’immaginario collettivo iconici ideali di classe e raffinatezza tout court, gli stessi che si possono ritrovare oggi come allora in ogni creazione dell’universo Dior: gli scintillanti gioielli di foggia ricercata, le celebri fragranze dai nomi evocativi, il fascino sofisticato di muse del passato (Mitzah Bricard, Dovima) così come di odierne testimonial (Milla Jovovich, Charlize Theron). Un viaggio avvincente nell’universo di una Maison che da oltre 60 anni contraddistingue la moda per garbo e prestigio, continuando a meravigliare per l’eleganza visionaria e l’estro sofisticato. 

giovedì 28 giugno 2012

STYLE_A colpi di bauli…di lusso








Cosa succede se i malletier più antichi e prestigiosi di Francia si trovano nel XXI secolo a due passi uno dall’altro? Questo e molto altro ancora accade a Parigi e in particolare in quell’esclusivissima tappa del luxury shopping qual è rue Saint-Honoré, dove ha recentemente aperto i battenti la nuova boutique Moynat, storico produttore di bauli e valigie di altissima gamma, acquistato niente popodimeno che da Bernard Arnault, - Monsieur Louis Vuitton, per intenderci – nel 2010. Che l’intento – o uno degli scopi – sia proprio spodestare l’altra leggendaria maison Goyard? Vedere per credere… Nel frattempo, il grande flagship Moynat, di oltre 200 metri quadrati, sorge in tutto il suo splendore a pochi metri di distanza da quello del marchio fondato da François Goyard nel 1853 e di cui sono stati mantenuti l’heritage produttiva nonché l’ubicazione al 233 di rue Saint-Honoré.
Oltre che dalla rivalità, i due marchi sono accomunati da una storia a tratti ricca di similitudini. Goyard da tre generazioni è di proprietà della famiglia Signol, che si è sempre attivata per mantenere l’identità di azienda-atelier artigianale. Come ogni luxury brand che si rispetti, vanta la paternità di diverse innovazioni, come il Malle Bureau – un baule che diventa una scrivania mobile, brevettato nel 1931 -, ha un suo simbolo icona – il monogramma Goyard Chevron – e offre numerosi servizi su misura di personalizzazione dei prodotti. Con 15 punti vendita nel mondo, tra cui due in rue Saint-Honoré, uno a Londra e diversi shop in shop nei department store di alta gamma come Barneys New York, Isetan a Tokyo, Peninsula a Hong Kong e Iguatemi a San Paolo, si prepara fulgido e orgoglioso alla conquista del nuovo millennio, pronto a lasciare viva testimonianza del suo savoir-faire e della sua tradizione manifatturiera, tripudio di ricerca, qualità e artigianalità. Moynat Malletier, invece, è stata fondata da Pauline Moyant pochi anni prima della Maison rivale, nel 1849. Negli anni ’30 ha visto il suo massimo periodo di gloria grazie ai leggendari bauli dalla caratteristica forma curvilinea, che li rende facilmente trasportabili nelle prime automobili dell’epoca. Come Goyard, si posiziona nell’alta gamma, ma di diverso rispetto al rivale vi è il fatto che dopo aver chiuso nel 1976, è entrato nelle mire di Monsieur Arnault, intenzionato a sviluppare uno stile di vita basato sul lusso e il bien vivre. Quale migliore occasione, pertanto, se non coprire l’intero segmento della pelletteria francese di altissima qualità? Detto, fatto. E al patron di uno dei due gruppi di superlusso d’Oltralpe è bastato inglobare la Maison Moynat nel proprio portafoglio prodotti, dotandola di un manager figlio della scuola Louis Vuitton – Guillaume Davin – e di un direttore creativo ex Hermès e Christian Lacroix - l’indiano Ramesh Nair - che ne ha studiato gli archivi per attualizzarli in una collezione di bauli e borse senza tempo, quintessenza dello stile Moynat. Last but not least, l’apertura del flagship nel cuore della Ville Lumière, immerso in una delle mecche dello shopping più famose al mondo, accanto a Goyard e Hermès. Una lotta a colpi di bauli…che vinca il migliore!

martedì 26 giugno 2012

LEISURE_Maglifico! Sublime Italian Knitscape















Quale migliore occasione di debutto come la settimana della moda maschile per una mostra che mette in scena l’eccellenza di un’attività squisitamente italiana come la maglieria e la sua evoluzione? È stata infatti inaugurata ufficialmente sabato 23 giugno Maglifico! Sublime Italian Knitscape. L’esposizione, visitabile sino al 2 settembre negli spazi di Palazzo Morando in via Sant’Andrea, nasce da un progetto di Federico Poletti di cui vanta anche la cura in collaborazione con Giusi Ferré e Angelo Figus.
Sulla scia della grande mostra svoltasi al Museo della Moda di Anversa Universal Knitwear in Fashion, è sorta quasi spontanea l’esigenza di ripercorrere l’evoluzione di un’industria creativa così particolare, che continua a giocare un ruolo importante nella storia della moda e della società più in generale, di cui si è dimostrata l’aspetto più versatile, pronta ad assecondare esigenze, gusti e tendenze, riuscendo ad essere “democratica” e, al contempo, fonte di continua ispirazione per la moda d’alta gamma. A fasi altalenanti e a periodi di fortune alterne, la maglieria ha sempre mantenuto un posto di rilievo nelle collezioni di molti designer, alcuni dei quali ne hanno fatto un caposaldo se non addirittura un tratto distintivo della propria cifra stilistica (Krizia e Missoni docent). Il grande rispolvero degli ultimi anni l’hanno resa oggetto d’interesse, studio e sperimentazione sia da parte di brand consolidati che di giovani progettisti che vedono nella maglia e nelle sue declinazioni infinite possibilità di lavorazione e interpretazione.
La mostra diviene così un omaggio al talento – tutto italiano – di realizzare estrose e difficili creazioni in maglia: una straordinaria capacità di trasformare la creatività sperimentale in veri e propri pezzi unici, frutto di un’heritage produttiva e stilistica che solo il Belpaese può vantare. Un viaggio sublime e onirico nel panorama del saper fare italiano, a bordo di un leggero e nobile filato di lana, che si snoda attraverso le regioni produttive e le aziende oggi fiore all’occhiello del tanto celebrato Made in Italy, per arrivare alle creazioni dei più importanti designer di tutto il mondo. Fil rouge dell’intera esposizione, la produzione totalmente italiana di capi così eccezionali, dalle calze ai cardigan, dagli abiti ai total look. Complice un allestimento coinvolgente ed emozionale, la mostra cattura il pubblico in un’esperienza ludica, che lo rimanda avanti e indietro nel tempo e nei temi, a spasso nella tradizione della moda internazionale di cui scopre confini, curiosità e particolarità.
La parte iniziale di Maglifico! Sublime Italian Knitscape svela la stretta relazione fra l’industria tessile italiana – da sempre pioniera in termini di qualità e innovazione – e i produttori di lana Merino Australiana. Un dialogo d’eccellenza – ça va sans dire – tra queste due importanti realtà che hanno saputo valorizzare la potenzialità e l’intrinseca preziosità di una fibra così nobile. Le sezioni della mostra che seguono, rivelano invece la versatilità della lana, che ha ispirato i grandi nomi della moda internazionale, dai veri knitwear brand come Missoni, Krizia, Laura Biagiotti, Malo, Saverio Palatella, Ermanno Scervino, Pierluigi Fucci, Gaetano Navarra, Lietta Cavalli, fino ai grandi stilisti che hanno dato contributi significativi nella maglieria come Iceberg, Prada, Gucci, Gianfranco Ferré, Jean Paul Gaultier, Sonia Rykiel, Vivienne Westwood, Maison Martin Margiela, per arrivare ai designer più innovativi e ai brand sperimentali come Sandra Backlund, Paolo Errico e Almo.Richly, solo per citarne qualcuno. Si comincia con una prima stanza dedicata al tema ACCELLERATE che celebra la maglia sportiva e la performance. Sportiva per davvero – o apparentemente tale – aderisce al corpo e scatta in avanti. Movimento e spinta al progresso sono le idee che trapelano e che hanno ispirato Angelo Figus nella creazione dell’artwork con tanto di tandem e ciclisti ricoperti da maglie coloratissime. Un inno alla velocità che introduce alle altre sale: GRAF.K! e la maglia cartellone, che comunica un messaggio o un’emozione attraverso l’utilizzo di grafiche e colori combinati in composizioni geometriche e segnaletiche d’ispirazione Pop; FLORILEGIO e la maglia che fiorisce, in un tripudio di boccioli, pitture e jacquard che celebrano la primavera sulle note di una danza botticelliana, all’insegna dell’energia e della positività; PUMP UP THE VOLUME per la maglia fuori scala, che ridefinisce e scolpisce il corpo e le sue proporzioni attraverso il volume e le lavorazioni, a volte estreme e al limite della portabilità; LOOKS LIKE LUX LITE per una maglia preziosa, luminosa, brillante di luce propria come un gioiello attraverso fili ludici, ricami, spalmature che conferiscono ai capi un aspetto elegante e lussuoso; GRRRRR!!!!! ossia l’ “Animaglione”, una maglia ispirata agli animali, nel bel mezzo di una giungla visionaria e seducente composta di capi  selvaggi che interpretano il vello iconico dei felini più belli del mondo. Infine, un posto davvero unico e speciale occupa la sezione WASHED che vede protagonisti i trattamenti sulle maglie che svelano caratteristiche del filo non evidenti, trasformando la maglia più comune in un capo alternativamente sofisticato. Lavorazioni che hanno avuto un notevole sviluppo nel corso degli ultimi anni, ispirando creazioni dall’aspetto lavato, stramato, usurato, infeltrito, decolorato. Da segnalare l’imponente installazione, creata ad hoc e ispirata a una vera e propria lavanderia, che crea un ideale dialogo tra l’alta maglieria e la lavabiancheria.
Fondamentale per la realizzazione della mostra il supporto del maglificio Miss Deanna, fondato da Deanna Ferretti Veroni, colonna portante per lo sviluppo della maglieria creativa in Italia: oggi trasformato in Modateca Deanna, centro internazionale di documentazione di moda, conserva la storia dei 40 anni del maglificio, a partire dalle collaborazioni con gli stilisti italiani e internazionali dai primi anni ’70, tra cui svettano Kenzo, Martin Margiela, Julien MacDonald, Pour Toi, Claude Montanà, Enrico Coveri, Krizia, Valentino, Joseph, Lawrence Steele, Stefano Mortari, ecc. Grazie ad oltre 50.000 capi, 6.000 volumi, 80.000 riviste e innumerevoli prove tecniche di punti, filati, stampe, ricami, volumi e finissaggi, Modateca è diventato il punto di riferimento per la ricerca tecnica e iconografica. Una ricerca meticolosa e puntuale ben nota anche a Zegna Baruffa Lane Borgosesia Spa, che ha fornito per l’allestimento preziosi teli di maglieria, provenienti dallo straordinario archivio punti dell’azienda, nonché le migliori qualità grezze di lane merino Australiane: un’opportunità ineguagliabile per scoprire tutte le fasi di lavorazione del processo produttivo del filato, dalla materia prima al capo finito. A corollario, speciali scenografie surreali creano una sorta di cortocircuito tra i temi della mostra, i capi esposti e lo spazio del museo, per una trionfante mise en place del saper fare italiano nella sua dimensione più sublime.

Maglifico! Sublime Italian Knitscape
Palazzo Morando – Costume Moda Immagine, via Sant’Andrea 6, Milano
Fino al 2 settembre 2012
Ingresso libero  

I partner di Maglifico!
ABC Manichini, ALU, Woolmark

Brand & Designer che partecipano a Maglifico!
Aimo.Richly, Albertina, Anteprima, Antonio Berardi, Antonio Marras, Au Jour le Jour, Aviu, Benetton, Blumarine, Brunello Cucinelli, Boboutic, Chanel, Costume National, Connie Croenewegen, Dirk Bikkembergs, Emilio Cavallini, Ermanno Scervino, Enrico Coveri, Fuzzi, Dolcicalze, Gaetano Navarra 

giovedì 21 giugno 2012

ABOUT_Appunti di stile e di vita firmati Gianfranco Ferré










Ultimo appuntamento con le riflessioni a vivavoce di Gianfranco Ferré. Pensieri, suggestioni, constatazioni...questo e molto altro è racchiuso negli "appunti" analizzati in queste settimane, in cui sono emersi gli aspetti più umani legati a una professione ma soprattutto a una filosofia di vita, giunta a permeare ogni aspetto esistenziale dello stilista. 
Rush finale per una parentesi ampiamente dedicata a quelli che sono i valori per Ferré, quali la creatività, l'unicità, la qualità, la coerenza e la cultura. Valori che, come da lui stesso ribadito, sono saldamente ancorati alle radici, fino a diventare un tutt'uno. Passando poi per un accenno al femminile-maschile e alla loro reciproca contaminazione, si approda in chiusura all'emozionante ricordo di Walter Albini, mentore nonché primo grande incontro dello stilista con il mondo della moda. 

Politecnico ‘68
“Mi sono laureato in Architettura al Politecnico di Milano nel 1969, con Franco Albini, scrivendo una tesi sulla “Metodologia dell’approccio alla composizione”. Il progetto architettonico che ho presentato riguardava un insediamento urbano nella periferia. Erano gli anni della contestazione studentesca ma anche di grande fermento e di entusiasmo. Il livello dell’insegnamento era altissimo in quel periodo. Il Preside di Facoltà era Carlo de Carlo prima e Paolo Portoghesi nell’anno della mia laurea. Molti dei miei docenti - Franco Albini, Ernesto Rogers e Marco Zanuso innanzitutto - hanno “firmato” con i loro progetti la rinascita di Milano dopo la guerra. Ed alcuni dei più grandi architetti o artisti italiani di oggi - come Aldo Rossi, Gae Aulenti, Renzo Piano e Corrado Levi - allora erano presenti in Facoltà come assistenti o docenti ordinari.

Radici e Valori
“Il mio rapporto con Legnano è fondamentale. Semplicemente perché a Legnano ci sono le radici. Io che amo infinitamente viaggiare - nella realtà non meno che con la fantasia, per lavoro e per piacere - non potrei vivere senza la certezza di un luogo, di una dimensione in cui ci si sente naturalmente a casa, in cui naturalmente si ritorna e ci si ritrova. Una dimensione tanto necessaria ed indispensabile quanto forte ed irresistibile è il desiderio di scoprirne e conoscerne altre. E’ la “certezza delle certezze” che in qualche modo aiuta anche a comprendere e a “decifrare” ciò che la vita, con le sue diverse realtà, ci pone dinanzi. Con la mia città ho un rapporto vivo, tutt’altro che nostalgico. Lì sono nato e cresciuto; lì non c’è solo la mia casa, ci sono soprattutto la mia famiglia ed i miei amici più cari; lì ritorno ogni sera da Milano per cenare con mio fratello, mia cognata e qualche amico. E’ una città piccola, discreta, solida, vivibile. E’ “provincia”, senza dubbio. Ma lo è nel senso migliore del termine”.
Il bagaglio di valori e di certezze che mi vengono dal mio vissuto, dal mio ambiente di origine e dalla mia famiglia in particolare hanno giocato e continuano a giocare un ruolo determinante nel mio percorso creativo, non meno nella mia vita personale. I cosiddetti “solidi valori borghesi”, l’educazione, il senso del dovere e della misura, la discrezione, la disciplina sono stati, io credo, il migliore punto di partenza, il migliore “trampolino” che io potessi augurarmi. Mi hanno consentito di affrontare tutte le prove e tutte le sfide che il mio lavoro un po’ speciale mi ha posto dinanzi anno dopo anno con grande determinazione ed altrettanto rigore, nella convinzione che ogni traguardo, ogni successo fossero da meritare con il massimo dell’impegno e con il massimo della responsabilità. I “solidi valori borghesi” sono parte del mio essere e del mio vivere. Ciò vale per le grandi decisioni, per la visione complessiva della vita e del lavoro che mi sforzo di esprimere in ogni cosa che faccio. E vale in egual misura per le piccole, “normali” cose della quotidianità. Nell’importanza che dò agli affetti, ai legami consolidati nel tempo, al ruolo della fedeltà, dell’onestà e della sincerità con cui vanno vissuti, necessariamente i rapporti interpersonali. E ancora, nell’attaccamento che ho per i piccoli-grandi riti di un vivere “normale “e sereno, equilibrato e, soprattutto, umano: i giorni di festa trascorsi in famiglia, gli affetti saldi e fedeli, i rapporti di amicizia che durano nel tempo…”

Rêverie
È una parola che ben esprime quel sentimento a metà tra il sonno e la veglia, quel rincorrersi di sensazioni che ancora non sono pensieri ma immagini e frammenti, da cui nasce l’ispirazione. Il sogno che si trasforma in meditazione, la meditazione che trascolora sulla spinta delle emozioni. È in questo procedere vagabondo, per scene – direi per appunti – che si forma il terreno su cui mette radici l’immaginario come un paesaggio fantastico cui approdo per vie del tutto naturali.

Valori
La creatività: intesa come capacità di interpretare l’eleganza in un’ottica fortemente individuale, elaborando soluzioni costantemente nuove ed originali ed integrando la conoscenza ed il rispetto profondo per le regole e per la tradizione dello stile - non meno che per la metodologia del design di moda - con un’appassionata volontà “in progress” di ricerca e di sperimentazione.
La qualità: come risultato di un’attenzione massima per il pregio intrinseco del prodotto, che nasce dal rigore dello studio delle sue forme, dalla scelta accurata dei materiali e soprattutto dal ricorso a trattamenti e lavorazioni che integrano il meglio della tradizione artigianale con le più avanzate espressioni della tecnologia e del know how industriale. La somma di tutti questi attributi conferisce al prodotto Gianfranco Ferré una sorta di valenza al di là delle stagioni, facendone qualcosa che è “di moda” ma che, allo stesso tempo, è al di sopra delle “mode”.
L’unicità: obiettivo che connota sempre l’iter progettuale di Gianfranco Ferré, indipendentemente dall’oggetto del creare. E’ l’obiettivo di una ricerca appassionata e costante nel segno dell’esclusività e della bellezza, che esprime un concetto moderno di lusso fortemente calibrato sul valore intrinseco del prodotto non meno che sulla sua valenza emozionale. In questa logica il prodotto Gianfranco Ferré viene concepito tanto come oggetto d’uso quanto come oggetto del desiderio calibrato sul bisogno di individualità e di espressione di sé, che sempre più regola l’approccio alla moda. In risposta a questa esigenza, l’unicità di un abito Gianfranco Ferré si concretizza in particolare nelle forti connotazioni di poesia, di “magia” e di sogno che vi sono intenzionalmente incorporate.
La coerenza: ovvero l’identità forte di uno stile versatile ed articolato, ma costantemente fedele a se stesso, perché capace, stagione dopo stagione, di declinazioni inedite e di espressioni su molteplici livelli, tutte sempre ed immediatamente riconducibili a principi estetici che non cambiano nel tempo, ad un lessico di segni e di espressioni che possono variare, arricchirsi, assumere nuove sfumature conservando comunque un inconfondibile “inprinting”.
La cultura: vissuta come capacità di elaborare soluzioni di stile, attingendo non solo ad uno specifico e personale back ground formativo, ma anche facendo riferimento alle tante espressioni della vita del nostro tempo - le arti figurative, il design, il cinema, la letteratura - così come alle tante “culture” del mondo ed alle più svariate epoche storiche. Lo stile Gianfranco Ferré si può intendere dunque anche come risultato di una lettura approfondita, critica, volutamente soggettiva ed originale di tutti questi apporti.

Vestire Donna e Uomo
L’uomo di oggi, la donna di oggi. Uguali tra loro nel senso di libertà, nell’indipendenza del carattere, nell’autonomia del gusto. E profondamente diversi. Nei miei abiti io amo sottolineare le differenze che li oppongono e li rendono complementari uno all’altro. Amo le dolcezze del corpo femminile, amo sottolinearle e svelarle, per dare una forza moderna alla seduzione. All’uomo concedo invece il lusso della disobbedienza, della disinvoltura con cui rileggere il principio consolidato dell’abito-uniforme…

Walter Albini
“Di Walter Albini conservo moltissimi ricordi: per più di una stagione, agli inizi della mia carriera, ho collaborato con lui disegnando accessori per le sue collezioni. Del suo stile conservo un’impressione indelebile di fantasia assoluta, di propensione dandy e volutamente pignola al coordinamento a tutto campo, dall’abito alla sciarpa, alla pochette nel taschino. Un coordinamento operato a priori, già a livello di primo abbozzo del capo… Lui era così: l’estro allo stato puro, la fantasia capace di valicare e quasi di annullare la realtà, l’approccio puramente estetico al concetto di eleganza. Ma soprattutto conservo un ricordo personalissimo, un’immagine precisa, una specie di flash che ancora riesce a sorprendermi quando riaffiora nella memoria. Era la prima volta che lo incontravo. Io indossavo un abito di gabardine beige, rigorosamente borghese, ed avevo raccolto i bozzetti che intendevo mostrargli in una cartelle di pelle ancora più borghese. Lui mi ha accolto in un completo di lino bianco, accecante, totale, quasi irreale. Non potevamo apparire, ed essere, più diversi l’uno dall’altro…”