martedì 31 gennaio 2012

ABOUT_Abbondanza: less (or more) is more?


Ultimamente, sempre più spesso, stilosamente parlando, ci si imbatte nella dicitura dall’eco quasi profetica less is more. All’apparenza un claim dall’allure pubblicitario che invita noi individui - a prescindere dal comportamento d’acquisto più o meno impulsivo e quindi da vere e proprie shopaholic o da semplici consumatrici di beni semidurevoli – a mostrare sempre meno…proprio perché meno è meglio. Prendendolo come un dogma insindacabile, che non va dimostrato né tantomeno smentito, la questione relativa all’abbondanza affonda radici piuttosto profonde nella storia della moda. Già negli anni ’50 un’indimenticabile Irene Brin – la prima giornalista di moda italiana, senza ombra di dubbio la più acuta e perspicace – suggeriva da vera estimatrice del bien vivre che l’abbondanza fosse sì qualcosa di augurabile ma solo per pochi e selezionati eletti, ossia coloro che sapevano dissimularla, sminuendola nella sua opulenza in una sorta di gioco di prestigio con la propria personalità. La Brin era infatti convinta che la ricchezza, sia di quantità che di qualità di beni economici e materiali, doveva essere implicita, senza necessità di gridarla ai quattro venti. Osservazioni che alla luce dei tempi moderni suonano sagge e garbate ma poco aderenti alla realtà quotidiana dei fatti, tempestata di casi eclatanti di sfoggi scintillanti di qualsivoglia genere di ornamento. Casi in cui il termine discrezione suona più come un’utopia che una regola da rispettare in un ossequioso silenzio. Nel trionfo osannato ed esasperato della cultura dell’urlo, spesso ripetuto più volte per essere sicuri di essersi fatti intendere. In parole povere, il passaggio da “abbastanza è troppo” a “troppo non è mai abbastanza” è stato rapido e indolore. Ma sfumature lessicali a parte, l’elemento che sicuramente fa da spartiacque affonda la sua ragione d’essere - come spesso in questi casi – nell’inflazionato aspetto culturale che, gradualmente nel tempo, si è plasmato su esigenze e stili di vita sempre più articolati e complicati. Un aspetto culturale che non è passato indenne allo scorrere dei famigerati anni ’80, epoca oltre la quale nulla è più stato come prima nell’interpretazione dell’estetica contemporanea. Gli anni del “tutto e subito”, dell’eccesso, del desiderio di meravigliare a tutti i costi, delle grandi disponibilità, conclamarsi del grande boom economico dei ’70 e preludio dei fasti oltre l’immaginaria opulenza dei ’90: ecco che qui il tutto abbonda in ogni dove e in ogni come. Addobbarsi come alberi di Natale ambulanti sembra la regola principe seguita spesso anche da molte celebreties (o additate come tali) con inevitabili cadute rovinose verso il baratro del cattivo gusto. Quasi a suggellare che in realtà meno è meglio proprio perché dona mistero e seduzione, sottintende e non dichiara, stuzzicando così la mente umana a un laborioso lavoro di intendimento, primo passo verso un gioco di intrigo. In molti casi si dice “un buon tacere non fu mai scritto”…sacrosante parole che mai come in questo caso, in senso figurato, assurgono a verità teoretica.

lunedì 30 gennaio 2012

PEOPLE_Sophia Kokosalaki: stil novo al gusto di tradizione






“Mi sforzo di trovare sempre qualcosa di nuovo, di non ancora fatto: può essere un dettaglio ma per me è interessante inventare qualcosa di nuovo”. Questo il modo in cui ama definire il suo imprint e che evidenzia il culto del particolare e dell’equilibrio che contraddistingue la trama stilistica di questa giovane designer greca di nascita ma cosmopolita di adozione: Sophia Kokosalaki. Lo stesso culto che ha riposto in ogni sua collezione, sin dalla prima nel 1999 quando, sfilando a Londra, si è consacrata come una supernova nel firmamento dei divini. Da lì in poi è stata un’ascesa trionfante verso quel mondo da prestigiatore quale è quello degli stilisti, cui va riconosciuto il pregio indiscusso di trasformare semplici tessuti in preziose creazioni con il semplice ausilio della fantasia. Direttore artistico chez Vionnet prima e mente creativa della propria linea che dal 2007 entra a far parte del gruppo Only the Brave dell’italianissimo Renzo Rosso. Un feeling quello con Rosso scattato immediatamente: di lui si plaudono la semplicità e la capacità di dialogare con gli altri, di lei invece il talento incredibile, dall’unione dei due inevitabile il successo. Dal 2009 è infatti al timone della Diesel Black Gold e dei suoi capi must come la giacca di pelle e la biker jacket. Trae ispirazione dall’arte e dalla cultura popolare ma soprattutto da tutto quanto la circonda, trovando in ogni spunto di quotidianità un pozzo di rimandi e suggestioni da cui dispensare idee che poi mette nero su bianco, in un rapido susseguirsi di tratti, in cui ogni tratto corrisponde alla sua innata capacità di guardare il mondo e la realtà, dando loro forma. Molti i riconoscimenti e le collaborazioni importanti che l’hanno vista protagonista e impegnata su fronti diversi, mettendo a punto la sua genialità interpretativa in ogni occasione: il New Gerneration Design Award nel 2004; gli outfit della cerimonia di apertura e chiusura dei giochi olimpici di Atene nel 2004, compreso quello indossato da Bjiron; i costumi di Antigone, opera classica del 2005 diretta da Irene Papas. Lei stessa ama esprimere il suo stile come la perfetta sintesi di un’attitudine moderna coniugata ad accenni provenienti dalla sua terra di origine…per tradizione e avanguardia che trovano accordo e armonia in creazioni sublimi nelle forme e nelle proporzioni. Ai giovani consiglia caldamente di essere pazienti e pronti a cogliere il passaggio della fortuna, non indugiando e, nel frattempo, continuando a credere in se stessi, ascoltando la propria voce interiore senza curarsi troppo di quanto dicono o pensano gli altri, condizione basilare per traghettare con successo nella realtà il proprio sogno….e, tratto dopo tratto, dargli forma.

giovedì 26 gennaio 2012

BOOK_Dior couture. Patrick Demarchelier









Moda e fotografia…due splendide forme d’arte complementari, che si avvicendano nei loro effetti e con i loro mezzi, elaborando uno stile immaginifico fatto di forme e colori. In una resa ottimale di quello che l’una significa per l’altra e viceversa. Ma cosa succede quando due delle più grandi firme in queste discipline uniscono i loro intenti? In particolare, cosa avviene se la couture fiabesca di Christian Dior incontra il genio figurativo di Patrick Demarchelier? Quello che ne risulta può solo che contraddistinguersi per stile e raffinatezza…vedere per credere! La sinergia di questi due nomi ha infatti dato vita all’imperdibile volume “Dior Couture. Patrick Demarchelier” edito Rizzoli: un pezzo da collezione per veri estimatori, che racconta la storia della Haute Couture della maison - dalla prima sfilata ad oggi - passando da Monsieur Christian Dior ai suoi successori Yves Saint Laurent, Marc Bohan e John Galliano. Una magia destinata a durare in eterno, catturata e resa immortale dalle numerose immagini che ne testimoniano la storia e l’evoluzione stilistica, segnandone le tappe più importanti, dal 1947 con il New Look ai giorni nostri. Artefice di un simile miracolo, lui: Patrick Demarchelier. Il fotografo della moda amato dal genio d’avanguardia Gianni Versace, nominato più volte dalla temutissima Miranda Priestly ne Il Diavolo veste Prada, protagonista con una piccola parte cammeo in Sex and The City. Lui – “IL” fotografo di moda per eccellenza – ha raccontato attraverso i suoi scatti il meraviglioso mondo che già dal nome sprigiona fascino: Dior Couture. Un viaggio incantato nella cultura del bello e dello stile, all’insegna dei pezzi unici della maison, vere e proprie sculture che nel volume vengono omaggiate con garbo ed eleganza, sulla scia del loro stesso charme. Un capolavoro nato quasi per caso, secondo la migliore tradizione che riserva al potere del fato la facoltà di dare vita alle epocali meraviglie dell’intelletto umano. Come racconta lo stesso Demarchelier, l’idea gli è venuta mentre fotografava un abito nell’atelier Dior, raccontando nel frattempo a Olivier Bialobos (direttore comunicazione world-wide)  quanto lo affascina la couture, da lui ritenuta arte pura. Venuto a sapere che non esisteva un libro negli archivi della maison che ne raccogliesse i vari esemplari, ha colto al volo l’occasione, proponendo di realizzare un volume per  testimoniare nero su bianco l’heritage stilistica e culturale. Due anni e mezzo di intenso lavoro ed ecco il risultato: un beau livre attraverso cui pièces del passato riecheggiano in tutto il loro splendore, mantenendo intatta la loro magnificenza sartoriale e creativa. 240 pagine di sola e pura moda, in cui grazie allo studio accurato di situazioni e ambientazioni sempre diverse vengono messi in scena vestiti sublimi e imponenti. Bando alla monotonia quindi: la quintessenza targata Dior viene catturata dall’obiettivo di Demarchelier nei luoghi simbolo quali il Musée Rodin e il giardino della Paris Opéra House o ancora Times Square e Shanghai, nei volti e nei corpi di sublimi bellezze come Gisele Bündchen e Charlize Theron, in classici studio portraits in bianco e nero o in composizioni a colori in décors naturali. Pièces dalla spiccata atemporalità grazie alla quale la bellezza degli abiti fotografati risplende in tutta la sua eternità, impassibile allo scorrere del tempo. Un’histoire de mode raccontata per immagini. Per appassionati ma non solo.

mercoledì 25 gennaio 2012

ABOUT_Lusso. What is this?


“Lusso: s.m. (dal lat. luxus, -us, sovrabbondanza, eccesso nel modo di vivere). Sfoggio di ricchezza, di sfarzo, di magnificenza; tendenza (anche abituale, come tenore di vita) a spese superflue, incontrollate, per l’acquisto e l’uso di oggetti che, o per la qualità o per l’ornamentazione, non hanno un’utilità corrispondete al loro prezzo e sono volti a soddisfare l’ambizione e la vanità più che un reale bisogno”. Così recita l’Enciclopedia Treccani alla voce lusso, un fenomeno che dalla definizione stessa appare fortemente legato al contesto sociale e culturale di un’epoca: probabilmente, infatti, se negli anni ’50 era un lusso possedere un’automobile, oggi questo non lo è più, avendo lasciato il posto piuttosto al modello di supercar posseduto…questo sì che fa lusso. Si tratta quindi di un concetto mutevole e che tuttavia, denigratori compresi, ha sempre affascinato l’umanità, rappresentando modi e oggetti di vita da desiderare e a cui ambire, visibili e riconoscibili da chiunque. Una sorta di formulario le cui diciture sono risuonate per l’uomo, nel corso dei tempi, una specie di distinzione: se le rispetti entri di diritto nell’universo lusso, altrimenti ne resti fuori. A ben guardare, da ciò scaturisce una divisione della società al proprio interno: ecco perché probabilmente è idolatrato dai suoi sostenitori, che lo interpretano come una molla propulsiva per il progresso nonché come un’importante industria, e denigrato dai suoi detrattori, che lo vivono come uno smacco morale o, peggio ancora, un indebolimento. Un desiderio, quello dell’uomo, di dimostrare il suo grado di benessere e prestigio, diffuso sin dagli antichi egizi che si facevano tumulare con tanto di gioielli, suppellettili, armi e a volte mezzi di locomozione: tutti quegli oggetti, in altre parole, che in vita li avevano accompagnati nella loro scalata sociale, testimoniandone visibilmente l’ascesa graduale. Una voglia di grandeur che ancora oggi ci accompagna - forse non fino alla tomba - condizionando le nostre scelte. Connesso alla moda, però, spesso e volentieri viene snaturalizzato della purezza del suo significato, venendo associato a oggetti inondati di loghi in caratteri cubitali nel tentativo di far comprendere appieno di quale maison siano i capi e gli accessori indossati: un’ostentazione alquanto gridata che risulta nettamente in contrasto con una sussurrata esaltazione di raffinatezza quale è in realtà il lusso. Perché sì, con lusso si intende proprio un prodotto di altissima qualità, realizzato artigianalmente, nel rispetto delle più nobili tecniche produttive, con l’utilizzo di pregiati materiali e un culto meticoloso dei dettagli. Non è un logo gridato né un eccesso provocatorio ad ogni costo, bensì un bell’oggetto o, altresì, potersi permettere lo stile di vita che più piace. Il lusso è pertanto qualcosa di evocato ed accennato, che emoziona e non aggredisce, che suggella l’armonia di un’atmosfera che attiene intimamente a un vero e proprio modo di vivere. Il tutto girando al largo dalla volgarità di cui ne è addirittura il contrario, come asserisce madame Chanel. Accedere al lusso non è semplice e non solo per i prezzi spesso alla portata non proprio di tutti: ci vuole una vera e propria predisposizione mentale. Il lusso deve essere sognato e non perché se ne sente il bisogno, bensì perché rappresenta uno stile in perfetta sintonia con la nostra persona e a cui ambire…necessario quindi un percorso propedeutico che educhi a questo universo, infondendone la magia dello spirito. In virtù delle sue caratteristiche intrinseche, il lusso si colora di una sfumatura eterna: ha una storia, che conferisce prestigio, e soprattutto un futuro, che infonde uno slancio avantgarde. Esula dal campo degli oggetti alla moda che hanno letteralmente il tempo di una stagione. Riassume in sé tradizione e progresso e non è affatto democratico come spesso ultimamente molti si ostinano ad affermare: se fosse per tutti che lusso sarebbe? (sulle orme di un interrogativo ormai celebre posto da un lussuosissimo Tom Ford…). È per pochi, è qualcosa di limitato: ecco perché le famose limited edition godono sempre di un senso di lusso innato. Disponibili in nei numeri e per poco tempo…più élitario di così. Impossibile non notare quindi come trascenda dai bisogni meramente funzionali e si spinga oltre. Ma in questo modo giunge a conquistare una sfera di noi stessi che esula anche da quelli che sono i nostri desideri più reconditi, approdando a quella dimensione che profuma di sogno. Lambisce quindi il nostro intimo, soddisfa un piacere segreto e  appaga l’edonismo. Il lusso è quindi per noi stessi in prima istanza e soltanto dopo si connota delle varie e possibili implicazioni sociali e culturali. Il lusso per antonomasia diviene sinonimo di personalità, un bene che non si può comprare e che cristallizza lo stile e il lifestyle. Sicuramente una cornice amena aiuta e rende tutto più armonico. Non si cada però nell’errore di ritenere che quest’ultima sia la sola condizione necessaria: imprescindibile è la nostra naturale propensione ad assaporare e vivere il sogno. Un’inclinazione che fortunatamente non ha prezzo, rivelandosi quindi, in un certo qual modo, la cosa più lussuosa che si possa sognare di avere. Lusso inteso quindi come carattere, con un pizzico di magia. Con l’obbligo di non fossilizzarsi sulla questione e godersi la “conquista” di questo universo su invito.

martedì 24 gennaio 2012

ABOUT_Realtà vs Sogno


Ho un piacevole ricordo liceale che porto sempre stretto con me. Sarà stato il terzo anno quando il prof di filosofia, nel bel mezzo della lezione, dichiarò con grande spontaneità “…ricordatevi che la realtà è più ricca della vostra fantasia”. Una frase pulita, essenziale e laconica a cui al momento non attribuì molto significato, in preda a veri e propri voli pindarici come quelli che soltanto una sedicenne che si sta affacciando alla vita con tutta la sua più sana ingenuità può compiere. Sogni dal contenuto più verosimilmente vicino a un copione cinematografico che a una vita reale. Non passò però molto tempo che mi accorsi del legame di simili aspettative con un mero ideale di perfezione, creato dall’industria consumistica e dell’immagine, piuttosto che con quanto volevo effettivamente essere. Complici una serie di accadimenti figli della compagine più reale della mia esistenza, mi balzò subito alla mente la frase del mio prof…la realtà era ed è effettivamente più ricca della nostra fantasia.
Infatti, con ogni lodevole sforzo d’ingegno non siamo mai in grado di giungere alle conclusioni che ci riserva il nostro destino. Conclusioni da cui inevitabilmente inizia tutta una serie di innumerevoli e altre avventure quotidiane e indefinibili nel tempo, che proseguono con una certa cadenza o si interrompono saltuariamente per poi riprendere e riproporsi, mutate nello spirito o adattatesi semplicemente ai nostri cambiamenti. La fantasia è quindi finita mentre la realtà è infinita, nel senso che la prima a un certo punto si interrompe (anche perché non possiamo sognare in aeternum), la seconda invece prosegue imperterrita nel suo moto perpetuo, riservandoci un’alternanza di umori ed esperienze talmente sfaccettata che nemmeno lo sforzo immaginifico più estremo potrebbe renderci. Una miriade di accadimenti si susseguono nella nostra vita. Quanti  invece riusciamo a immaginarcene? Pochi. Troppo pochi. Un paragone che non regge il confronto, con una vittoria schiacciante della realtà sulla nostra fantasia. Quante volte vi è successo di avere una giornata “no”, nel corso della quale tutto andava storto e vi sembrava che niente e nessuno avrebbe potuto provocare un’inversione di tendenza? Eppure, prima della fine, è capitato qualcosa di piacevole che vi ha fatto apprezzare anche quel giorno di cui non vedevate più la fine. La vostra fantasia lo avrebbe mai previsto?
Fortunatamente, e sottolineo fortunatamente, ci è dato un destino concatenato di azioni e reazioni che non è dato sapere. Per nostro diletto possiamo fantasticare e svolazzare qua e là in cerca di quella che secondo noi è la felicità. Ben  vengano i sogni e le illusioni, ancore di salvataggio in profondi momenti di sconforto. Ma poi, quello che conta, è quanto realmente ci accade. E ogni volta scopriamo vuoi la magnificenza della bellezza vuoi la crudeltà della bruttezza. Eppure ogni volta noi siamo lì, chiamati in causa dalla vita; i sogni svaniscono fino a sparire per lasciare posto a concrete circostanze, con tutto il loro carico di emozioni e suggestioni. Ecco cosa manca forse nella fantasia: la componente emozionale. Anche quando sogniamo le cose più impensabili non riusciamo però a provare delle effettive sensazioni. E quanto bello è, invece, emozionarsi? Provare l’ebbrezza di un successo, il calore di un abbraccio, il piacere della vicinanza di una persona, il potere evocativo di una canzone, lo spettacolo di un tramonto? E di contro le situazioni meno piacevoli e alle volte più sofferte, ma pur sempre parte di noi, parte irrinunciabile per la formazione e l’educazione della nostra personalità, nonché per apprezzare il bello che adorna la nostra vita.
Realtà vs fantasia. Non le credo in contrasto, bensì mi piace pensarle come due parti di noi, che si inseguono, che si guardano l’un l’altra, beffeggiandosi alle volte, che corrispondo specularmente alle nostre due anime - l’irrazionalità da una parte (la fantasia) e la ponderazione dall’altra (la realtà).
Tutti siamo fatti di materia onirica che a volte trova piena o parziale corrispondenza nella concretezza e altre volte no. Spesso a scapito del nostro castello incantato, ma spesso e volentieri a nostro vantaggio, per cui ci troviamo di fronte a una realtà dei fatti ricca di sfumature preziose. Dalla natura fantasiosamente amena. Il nostro compito? Riuscire a coglierle tutte. Senza lasciarne sfuggire nemmeno una. Come fare? Esercitandoci pian piano, ogni giorno una sfumatura in più, fino ad arrivare ad averne la completezza. E allora lì scopriremo che vi è ancora tanto altro. E quindi pronti per un altro viaggio nel fantasioso del reale. Una ricerca senza fine, perché senza fine è la ricchezza della nostra vita.
Pronti quindi al viaggio più intrigante della nostra vita?

lunedì 23 gennaio 2012

LEISURE_24h Museum e l'arte effimera di Francesco Vezzoli





Appuntamento assolutamente imperdibile nell’ambito degli eventi collaterali che animano la tre giorni di haute couture parigina in programma dal 23 al 25 gennaio, l’Italia tiene alto il suo nome nel campo della creatività d’avanguardia schierando una coppia d’assi quali Prada e Francesco Vezzoli, che a sua volta si avvale della collaborazione di Amo (costola dello studio Oma di Koolhaas e partners, pioniera nella sperimentazione dei confini unconventional dell’archiettura). Al centro di tutto ciò uno straordinario progetto d’arte e comunicazione realizzato dall’artista per il brand: un vero e proprio museo allestito per sole 24 ore, inaugurato quindi martedì 24 gennaio e smantellato dopo un giorno esatto. Sede di questa spettacolare mise en scène il Palais d’Iéna, progettato da Auguste Perret e che per un giorno - rivisitato nell’aspetto e svecchiato negli spazi grazie alle pareti mobili e agli allestimenti di Amo - assume la funzione originaria per cui è stato pensato. “Ho concepito un’installazione di gusto volutamente propagandistico…Non un museo dell’effimero, ma effimero”, così esordisce Vezzoli nella spiegazione del concept alla base del progetto. Un’installazione-collezione in perfetto stile pop-up che rende omaggio all’eterno femmineo: l’artista ha realizzato collage digitali su metacrilato, copiando corpi d’epoca classici e neoclassici, che evocano le forme di Prassitele e Canova, e combinandoli a volti di moderne icone estetiche quali Veruschka, Jeanne Moreau, Catherine Deneuve e Lauren Bacall. Per contemporanee sculture che si trasformano in vestali della disco music, riassumendo passato e presente, sacro e profano, effetti trompe-l’oeil e riproduzioni fotografiche. Dislocate nell’allestimento - che vede nella grandiosa scalinata centrale il suo epicentro – s’illuminano e cambiano colore come grandi neon pubblicitari, al ritmo di un’effimera, ça va sans dire, quanto monumentale discoteca. Per una discoarte che sulla scia di una vera e propria performance illusionista rende omaggio a storia e generi diversi, tra loro agli antipodi, in una dimensione temporale biunivoca: Louvre e Studio 54, Prada e Pitocrito, storia dell’arte e fashion. Due le grandi innovazioni che un simile progetto porta con sé: l’allontanamento da rappresentazioni che coinvolgono star del cinema, della musica e della moda in carne e ossa e una fascinazione magica per la scultura antica - dal Gotico al Rinascimento al Manierismo, per i colori e le venature dei marmi. La performance reale diviene quindi quella dello spettatore, non più quella dell’artista o della celebrety, e un altrove temporale viene riportato ai giorni nostri, attualizzato con volti contemporanei, diffondendo in noi il senso estetico del passato e stimolando la nostra mente alla conoscenza e al desiderio. Un espediente per avvicinare il pubblico al mondo dell’arte e, forse ancor più, per divertirlo: per infondergli l’interesse per tutto un universo inesplorato e ricco di fascino, tutto da comprendere, confrontare, amare e desiderare. Con l’originalità delle sue opere il passato viene svecchiato dai suoi aspetti meramente accademici che richiamano esperti e intellettuali e diviene oggetto del desiderio per tutti noi, pur mantenendo intatte caratteristiche come la compostezza e la dignità dei corpi, la grazia e la bellezza delle forme, la leggiadria delle pose.
A ben guardare il progetto di Vezzoli risulta essere una profonda meditazione sulle influenze dei modelli culturali susseguitisi nel tempo e che spesso condizionano le nostre abitudini, sfasando il nostro modo di vedere e approcciare le cose. La sua installazione-collezione si rivolge quindi a un pubblico il più eterogeneo possibile: ciò che conta è la sua finalità intrinseca, ossia smontare un’illusione, perché tutto divenga effimero e dia via libera alla nostra immaginazione, coinvolgendoci in un gioco nello spazio e in viaggio nel tempo. Un invito effimero alla riflessione.

Il museo apre i battenti martedì 24 gennaio con una cena a inviti a cui segue una discoteca-discoarte museale visibile on line collegandosi al sito. Aperto al pubblico mercoledì 25 gennaio

Palais d’Iéna, XVIème arrondissement, Paris

venerdì 20 gennaio 2012

ABOUT_Elegance...is an attitude!


Tradizione vuole che l’eleganza sia la qualità delle cose semplici ed efficaci, che in poco esprimono il loro spirito, senza bisogno di eccessi e marcature. E per logica conseguenza, il metro con cui si misura il gusto. Per sua intima natura, l’eleganza è quindi elusiva, impalpabile e fragile: attributi che si scontrano con una contemporaneità troppo spesso gridata, ruvida e dura. Ma forse è solo un bene che sia così: da un simile e forte contrasto la sua essenza e il suo significato più profondo ne escono tracciati alla perfezione, identificabili a occhio nudo nella giungla caotica e alle volte farlocca dei giorni nostri.
Gli oggetti eleganti possiedono dunque grazia e dignità. E le persone eleganti, a loro volta, hanno grazia e semplicità, rivelando cura e buon gusto senza troppa affettazione e ricercatezza, negli atti come nel vestire. Eleganza come misura quindi, ma non solo. Vale infatti anche il suo contrario, ossia l’eleganza come opulenza: vedi una sobria combinazione di colori dalle reminescenze vagamente gauguiniane, per non parlare dei saloni rococò dell’Hotel de Crillon a Parigi. L’eleganza risiede quindi in molte cose, diverse tra loro e non facili da individuare e catalogare.
Parlando di moda, essa intrattiene con l’eleganza una relazione alquanto pericolosa. In questo caso, banalmente si considera l’eleganza come l’espressione di misura e buon gusto resa attraverso i vestiti: un approccio passivo e inerte, contraddetto frequentemente nel corso del tempo con verve e intelligenza da svariati maîtres à penser. Per Jean Genet l’eleganza è trovare un accordo tra cose di cattivo gusto, mentre per Diana Vreeland è semplicità con un tocco di cattivo gusto, da cui non si scosta molto Carmel Snow, secondo la quale si tratta di buon gusto misto a un po’ di audacia. Madame Coco Chanel la vede indissolubilmente legata alla presa di personalità di se stessi e del proprio futuro, associandola all’imprescindibile approdo nella maturità adulta. Giusta combinazione di distinzione, naturalezza, cura e semplicità per il couturier Christian Dior e condizione della mente, invece, per Oleg Cassini. E se il geniale Yves Saint Laurent ne nega l’equivalenza con la snobberia, il rocambolesco Christian Lacroix afferma che altro non è se non giungere all’essenza delle cose. Emblematica forse più di tutte la nota di Honoré de Balzac, che dedica un’intera sua opera a tracciare il significato della vita elegante, giungendo alla conclusione che ricchi si diventa ma eleganti si nasce. Già da queste poche citazioni emerge come essa sia tutto e il contrario di tutto. Impresa ardua quindi quella di trovarne una definizione il più esauriente possibile, nella dimostrazione di come sia un fattore tanto relativo quanto assoluto: non vi sono regole principi per definirla, tuttavia vigono dei cardini entro i quali una cosa è elegante e di buon gusto e oltre i quali cade inesorabilmente nel trash del non s’ha da fare. Proprio in virtù di questa lotta dissociata tra relativismo e assolutismo, si può essere però concordi sul fatto che l’eleganza non sia un vestimento, nonostante un abito molto bello, dalle proporzioni e dalle forme aggraziate, possa contribuire ad apparire eleganti. E non è nemmeno un gioiello, né l’ultima it bag o ancora un semplice accessorio (anche se gli accessori giusti divengono un valido alleato). L’eleganza attiene piuttosto a ben altro, identificandosi con un vero e proprio modo di essere. Eleganti si è per come si interpretano i vestiti e si vive lo stile, per il modo di porsi, di muoversi, di conversare, di relazionarsi. In altre parole, un look sensazionale non è nulla se non è accompagnato dagli atteggiamenti giusti e dall’eloquio appropriato, da nonchalance e disinvoltura. Essa pare risiedere proprio nella nostra naturalezza e nell’apparire per quello che siamo; nella semplicità di essere e di vestirsi; nella mancanza, quindi, di sforzo apparente nell’eccesso come nel suo contrario. In altre parole, se si vuole eccedere, lo si faccia pure. Con l’unica precauzione di procedere all’insegna della spontaneità, senza forzare il nostro limite naturale. Per essere davvero eleganti, quindi, è necessaria la personalità, una qualità che fortunatamente non si può comprare ma va coltivata e alimentata soltanto nel corso della vita, forgiandola di volta in volta nella maniera più consona a noi stessi e alla nostra indole. È forse per questo che spesse volte, un dandy realmente bohemien e signore squattrinate sono assai più eleganti e stilosi di un fashionista parato a festa, pronto a immolarsi sull’altare delle ultime tendenze.

giovedì 19 gennaio 2012

STYLE_The power of clutch: glamour a portata di mano
























Ultimamente la moda vuole che le borse si facciano sempre più maxi e, contemporaneamente, sempre più mini. Abolite le mezze misure, materializzazione indefinita di una via di mezzo, sinonimi di un’indecisione stilistica e ibridi tra i due estremi che sempre più conquistano il pubblico. E per un maxi che diviene sempre più ingombrante - quasi a dar vita, in certi casi, a vere e proprie travel bag, il mini si fa sempre più mignon, per piccoli oggetti del desiderio, quintessenza dell’abilità creativa e della cura del particolare. Una cura che non lascia nulla dal caso, nel rispetto della sacrosanta legge secondo la quale più un oggetto è piccolo e più balza all’occhio in ogni suo minimo dettaglio. Vietato quindi tralasciarne anche uno soltanto, nell’errata convinzione della sua insignificante apparenza. Se quindi mini bag si vuole osare, che questa sia degna di nota: irresistibile alla vista, stilosa nella forma, perfetta nei particolari. Meglio averne una sola ma come si deve che un’infinità da cui però non se ne salva mezza. In virtù di questa premessa, a ciascuna di noi spetta la scelta della clutch preferita, in considerazione di tutti quei fattori (culturali, ambientali, emozionali) che dominano il nostro gioco quotidiano dell’abbigliarci. Il ventaglio di opzioni è ampio, basta solo capire quale sia quella che fa al caso nostro. Ecco quindi legittimato il relativamente recente dilagare di queste spettacolari e deliziose minaudières dai modelli più vari – da quelli più eccentrici a quelli più tradizionali – che incantano con il loro magnetismo glamour, divenendo ideale passepartout per le sere più chic così come per i momenti in cui si vuole soltanto dare un tocco di insolito ai look più usuali. Convolano a giuste nozze, quindi, sia con un rigido dress code che con la libera interpretazione del nostro umore attraverso i vestiti (sulla scia della corrente vestiamoci come ci sentiamo!...). Nobilitano o impreziosiscono un look a seconda delle evenienze e degli abbinamenti. Nonostante la loro ridotta dimensione non passano inosservate, catturando gli sguardi e conferendo all’aspetto femminile – proprio per il modo in cui vengono tenute nella mano – un’allure divinamente elegante, malizioso quel poco che basta per essere declinato sulle note della raffinatezza. Calibrate negli spazi tanto da costringere a fare una viva selezione di quanto portarsi appresso, nella loro struttura rigida nascondono una vera e propria opera di ingegneria, con tanto di tiranti, aperture a scatto, piccoli meccanismi di precisione dai millimetri calibrati che garantiscono la sicurezza delle chiusure. Il tutto rivestito da materiali preziosi come nobili pellami, morbido satin, broccato da zar, cangiante velluto. Via libera inoltre all’estro creativo per dettagli che ne arricchiscono l’aspetto quali applicazioni, broches, chiusure-gioiello, intarsi di cristalli, pietre colorate. Le maison dal canto loro si sprecano in proposte: clutch golose al gusto di macarons chez Kenzo; arricchite da una chiusura che fa il verso a un antico tirapugni, pronto a divenire un valido strumento di difesa, per Alexander McQueen; effetti trompe-l’oeil in formato libro poket per vere e proprie book bag da Olympia Le Tan; colorate e pregiate quelle di Corto Moltedo; preziose nella chiusura e morbide nella forma – arricchita spesso da paillettes o charms della tradizione - per Dolce & Gabbana; goffrate in morbida nappa da Prada; intrecci in altorilievo e rivisitazione di motivi cult della maison - come il nastro Vara e il celeberrimo gancino - da Salvatore Ferragamo; floreali e mise en place di fiocchi importanti per Valentino.
Semplici e tradizionali, ricche e barocche che siano, le clutch divengono sempre più un vero e proprio must have, da osare e portare con disinvoltura. Dopo un primo “rodaggio” degli spazi, il gioco è fatto: una resa ottimale del look…qualunque esso sia.

mercoledì 18 gennaio 2012

PEOPLE_Gabriele Corto Moltedo: accessori-à-porter da amare.













A pronunciarlo sembra il nome in codice di un personaggio di fantasia. In realtà Gabriele Corto Moltedo è il giovane designer proprietario dell’omonimo marchio specializzato nel trattamento di pellami, votato alla realizzazione di magnifiche borse e soprattutto adorabili clutch, talmente chic da salire di diritto al trono di oggetto del desiderio più spregiudicato, spodestando ogni altro compare di stile. Un amore, quello di Corto Moltedo per la pelle e gli accessori, di tradizione famigliare: i suoi genitori sono infatti i fondatori di Bottega Veneta. Forte di una simile heritage e desideroso di fare qualcosa di creativo per sé ma soprattutto per gli altri, nel 2004, dopo la laurea a New York, si trasferisce in Francia con la famiglia e qui apre la sua attività, focalizzata su borse, calzature e abbigliamento. Sin da subito comprende però che il suo interesse e le sue abilità convergono sulle borse. Nel 2009 apre quindi la sua boutique a Parigi e dopo due anni a Milano in via Santo Spirito. Fonte primaria di ispirazione, sia per le creazioni che per i colori, la musica: come lui stesso ammette scherzosamente non è inusuale che una sua borsa abbia le tonalità della copertina di un album dei Pink Floyd. Tutti i generi –dall’hip hop al rock – confluiscono nella definizione della sua espressione stilistica. Dall’idea all’oggetto…ed ecco che si trova la stessa entità di devozione nella cura meticolosa con cui sceglie i pellami così come i materiali che completano le sue creazioni – prime fra tutte le fodere, che spesso sono realizzate in esclusiva per lui. Questo amore per la perfezione si traduce nel culto del dettaglio, che adora seguire personalmente, da un lato per avere sotto controllo ogni fase di lavorazione, dall’altro per “cullare” le sue clienti, sviluppando un vero e proprio servizio su misura. Alla fatidica domanda “Tre aggettivi con cui definire le proprie creazioni” egli risponde come segue: sofisticate, preziose, eleganti. E questo è lo spirito che si respira una volta varcata la soglia d’ingresso della sua boutique milanese: atmosfere magiche e raffinate accolgono in un ambiente unico ed etereo, ovattato e incantato…il favoloso mondo di Corto Moltedo verrebbe da dire. Le borse e le clutch fanno il resto: alla vista appaiono in tutto il loro splendore, al tatto rivelano il loro essere seduttivo più intimo, avvicinate a sé dispiegano tutto il loro stile, sobrio e chic al punto giusto per rivelare inaspettate note glamour che rendono unica e preziosa la loro anima. Indescrivibile la sensazione provata ogni volta alla vista della parete costellata di clutch, posta in fronte all’ingresso: per tutti i gusti e in tutti i colori, per ogni evenienza…e anche se non vi è va bene lo stesso, perché è praticamente scontato che una volta posseduto un simile bijou l’opportunità si creerà di per sé. Un universo a cui affacciarsi, per conoscerlo, comprenderlo e apprezzarlo nella sua ricca raffinatezza naturale. Non contento di quanto realizzato e mai esausto di stimoli ed ispirazioni, Corto Moltedo si sta dedicando a una serie di video creativi che molto lo impegnano, divertendolo e offrendogli in continuazione idee e suggerimenti. Che probabilmente, tra non molto, troveremo immortalati su qualche delizioso accessorio-à-porter, sempre e comunque nel rispetto di un senso di eleganza estremo. Dalla sua vivavoce arriva un consiglio per tutti i giovani o, più in generale, per chiunque abbia un sogno: saper aspettare. Non avere quindi fretta ma attendere, quasi a condurne lo sviluppo per mano, seguendone ogni fase e accompagnandolo nel cammino verso il trionfo. Pena, verrebbe da pensare, una situazione che sfugge di mano o la caduta in tentazione alle lusinghe spesso non molto velate di un successo troppo rapido quanto fugace.