venerdì 30 marzo 2012

ABOUT_Fare shopping nell'800









Oggi fare shopping – a prescindere dalla sua natura più o meno compulsiva - è sempre più una disciplina consolidata, frutto di un fenomeno di costume entrato a far parte della tradizione quotidiana. Le abitudini di consumo sono cambiate, le motivazioni d’acquisto implicano sempre più componenti emozionali, rispondendo a bisogni spesso latenti (quando esistenti), i gusti divengo sempre più esigenti, l’offerta è diventata variegata ed eterogenea, volta a soddisfare ogni aspettativa.
Ma questo è oggi. Come si faceva shopping invece nell’800, secolo di grande fervore sociale ed economico?
Nel 1852 il parigino Aristide Boucicat acquista Bon Marché, un emporio di tessuti e abbigliamento che ben presto comincia a vendere confezionati per signora, biancheria, cappelli e calzature, avviandosi così a diventare il prototipo del grande magazzino. Boucicat introduce un’innovazione rivoluzionaria nella storia dei canali distributivi: una nuova concezione dell’attività commerciale basata sull’elevata velocità di rotazione delle merci alle quali viene applicato un modesto margine di profitto. La nuova formula distributiva si distingue dal negozio al dettaglio tradizionale – erede della bottega urbana specializzata, di medievale ispirazione – sotto molti aspetti: il prezzo fisso ed esposto, l’ingresso libero, il reso della merce, l’ampiezza dell’assortimento, solo per citarne qualcuno. Le vetrine, generalmente trascurate o del tutto inesistenti dei negozi tradizionali, sono qui invece concepite per esercitare una forte attrazione sui passanti. I grandi magazzini non sono solo un luogo di vendita di un’ampia varietà di merci, ma anche d’intrattenimento della clientela. E per i potenziali consumatori che risiedono fuori dalle città vengono pensati i cataloghi di vendita per corrispondenza, vere e proprie guide all’acquisto che, nel modo più fedele possibile, cercano di riprodurre nelle loro pagine l’atmosfera del negozio.
Nonostante in Italia vi siano condizioni economiche e sociali molto diverse – redditi, consumi e urbanizzazione, non mancano iniziative imprenditoriali di rilievo sulla falsa riga del modello parigino, tra le quali i Grandi Magazzini italiani dei fratelli Mele di Napoli e i grandi magazzini Alle Città d’Italia dei fratelli Bocconi, progenitori della Rinascente, volano per la trasformazione della moda in una realtà economica di primaria importanza per il sistema italiano. Anche nel Belpaese quest’innovativa forma di distribuzione si avvale degli strumenti di diffusione della moda – primo fra tutti il catalogo di vendita per corrispondenza.
I cataloghi di vendita per corrispondenza dei magazzini dei fratelli Bocconi vengono pubblicati e spediti ogni due mesi. I numeri più importanti sono quelli di aprile e di ottobre, che pubblicizzano, rispettivamente, le collezioni primavera/estate e autunno/inverno. Gli altri numeri erano dedicati a eventi periodici – le svendite di fine stagione, la “fiera del bianco”, le strenne natalizie – o a specifici prodotti come la biancheria intima, per la casa e i tessuti per l’arredamento.
Le pagine introduttive del catalogo contengono informazioni – spedizione, imballaggio, reso della merce, istruzioni per prendere le misure da indicare negli ordini di capi di abbigliamento – che accompagnano per mano il lettore nel mondo della vendita per corrispondenza. Secondo gli storici della moda, i grandi magazzini hanno contribuito a innescare il processo di democratizzazione della moda, fenomeno all’origine della nascita dell’haute couture. In particolare, l’esempio milanese ha contributo a coniugare la divulgazione dei canoni estetici elaborati oltralpe con la modernizzazione dei canali e delle tecniche di commercializzazione di abbigliamento e accessori. I cataloghi di vendita per corrispondenza, unitamente all’organizzazione strutturata in filiali aperte nelle principali città italiane, segnano un punto di non ritorno nel processo che porta alla formazione di un mercato tessile e dell’abbigliamento di dimensioni nazionali. L’ordine delle pagine non è casuale: si comincia con la sezione dedicata a illustrare l’offerta di tessuti, per proseguire con la riproduzione dei capi d’abbigliamento per donna, ragazza e bambina. La descrizione degli abiti femminili si avvale di continui riferimenti al linguaggio d’oltralpe: francesi sono i nomi sia dei tessuti che dei modelli, nell’evidente intento di dare l’immagine di un grande magazzino al passo con le ultime novità proposte da Parigi, allora capitale indiscussa della moda. Ogni abito è presentato in due o tre modelli diversi di cui viene proposta una versione base con possibilità di personalizzazione relativamente alla scelta del tessuto, delle guarnizioni e del grado di accuratezza della confezione. La possibilità di personalizzare un abito sta a indicare che, nella strategia commerciale del grande magazzino milanese, la produzione e la vendita di abiti confezionati non implicano l’omologazione dei gusti e dei consumi, ma sono piuttosto il presupposto di una diversificazione dell’offerta.
Nei decenni successivi alla conclusione della seconda guerra mondiale, i grandi magazzini hanno un ruolo molto importante nell’affermazione e nella diffusione della moda italiana. In quegli anni la Rinascente lancia la produzione d’abbigliamento italiana nei circuiti europei, contribuendo così a modernizzare gli stili di consumo della popolazione. Negli Stati Uniti divengono invece uno dei primi strumenti di commercializzazione del made in Italy, tanto che nel 1951 nella Sala Bianca a Palazzo Pitti a Firenze, in occasione della prima sfilata di moda organizzata da Giovanni Battista Giorgini, sono presenti i rappresentanti dei più importanti department store americani.
È solo l’inizio di un grande sodalizio tra moda e canali distributivi. Negli anni ’80 le maison investono ingenti risorse finanziarie, derivanti dai contratti di licensing, nella realizzazione di proprie reti di vendita, aprendo negozi monomarca – flagship store – nelle principali mecche dello shopping italiane ed estere, caratterizzati da layout e immagine coordinati, in linea con i valori della griffe. Per creare e ricreare un ambiente famigliare in cui accogliere il cliente, facendolo sentire come a casa sua in ogni angolo del mondo. Non vi sono più confini, la moda sembra parlare un linguaggio universale, complice il supporto fornito dai punti vendita che divengono sempre più veri e propri spazi emozionali, in cui il momento dell’acquisto o della semplice visita diventa una vera e propria esperienza: luci, suoni, colori, profumi accolgono, affascinano e cullano in un’atmosfera unica e particolare, sintesi sublime di un sistema valoriale caratteristico del marchio, comprensibile in ogni dove, assodato nella sua implicita essenzialità. 

giovedì 29 marzo 2012

ABOUT_Il Panama: da Montecristi la leggenda dell'eleganza sofisticata



I primi conquistadores, scoprendo delle cuffie sconosciute sulle teste di alcuni indigeni, avevano scambiato questa materia leggera e traslucida per pelle di pipistrello. Le successive scoperte sulla costa ecuadoriana avevano invece contribuito a iscrivere nella leggenda il cappello per antonomasia, sinonimo di glamour sofisticato ed eleganza ricercata: il Panama. Le prime peripezie di questo mitico copricapo hanno certamente seguito la rotta dei bagagli di qualche commerciante, scienziato, esploratore o capitano, alla volta dell’occidente. Nel XVIII secolo il Panama comincia a solcare gli oceani. Si racconta infatti che nella lunga permanenza forzata a Sant’Elena, Napoleone abbia scambiato il suo cappello nero da conquistatore con uno splendido e candido “Montecristi” (nome originale) per non lasciarlo più.
Di cultori ed estimatori, il Panama ne ha avuti sin dall’inizio. Nel 1835 Manuel Alfaro – il cui figlio Eloy diventerà il presidente dell’Ecuador – si stabilisce nel cuore di Montecristi, una piccola città su una collina cullata dai venti oceanici, dedicandosi all’esportazione e creando un vero e proprio circuito di tessitori con cui mette a punto un ciclo produttivo.
Nel 1855, in occasione dell’esposizione universale, Parigi scopre questo cappello di paglia. Per la prima volta si parla del cappello di “Toquila”, della scorrevolezza e della trama che meraviglia e affascina i parigini. Un Montecristi viene offerto a Napoleone III e nella Ville Lumière diventa subito moda.
Nel 1900 non resistono al suo fascino Thomas Nast, l’inventore del simbolo dei repubblicani statunitensi, il banchiere J.P. Morgan, che lo esibisce con superbia, e Theodore Roosevelt, immortalato su tutte le prime pagine di quotidiani e rotocalchi durante la sua visita sul luogo dei lavori del futuro canale.
Negli anni 40 ormai l’Europa ha gli occhi
rivolti verso l’America, ed è Hollywood a dettare la moda. E’ indossato dai più grandi: Orson Welles, Humphrey Bogart, Gary Cooper nonché in alcune pellicole cult.
Ma come nasce il Panama? La materia prima – la paglia o fibra vegetale, chiamata “Toquila” nel paese d’origine – cresce nella provincia di Manabi, Guayas e Esmeralda. Le sue qualità uniche al mondo sono il risultato di un clima freddo-umido e di un suolo costiero particolarmente fertile, ricco di sale e di calcio. Le piantagioni di “Toquila” si trovano a quindici chilometri dalla costa. Le palme sono piante lunghe, alte, leggere e di un bel verde brillante: per essere trasformate in paglia, devono essere tagliate quando sono ancora in fase di crescita e non hanno ancora raggiunto la fioritura. I “Cogollos”, le guaine di strati acerbi, si presentano come rami di circa un metro di lunghezza e un centimetro di diametro. Con un coltello s’incide la base dei gambi, liberando gli strati teneri e flessibili, separando i filamenti dalle parti spesse, già più mature, che vengono buttate via; resta soltanto un fascio di nastri setosi, tenuti insieme da un piccolo gambo fine. Questi, vengono bolliti in grandi vasi di terra, quindi essiccati al vento, lontano dai raggi del sole. Iniziano così il loro processo di ritiro, si arrotolano su loro stessi fino a formare gambi cilindrici, chiari e fini, che devono essere scossi di tanto in tanto in modo da tenerli sempre ben separati, evitando di farli essiccare troppo vicino, rischiando che si attacchino l’un l’altro e diventino inutilizzabili.
Nuovamente lavata, la paglia viene posta su una piastra d’argilla sopra un braciere di zolfo per circa due ore: grazie al gas prodotto – “la fuma” – il materiale acquisisce il tipico color avorio. Segue un’ulteriore fase di essiccazione per passare poi alla selezione del materiale in base al candore, all’elasticità, alla dimensione e alla scorrevolezza di ogni filamento che, a seconda della sua finezza, allunga il tempo dell’intrecciatura, impreziosendo di conseguenza il Panama.
Per realizzare un “Montecristi Extrafine” – un vero gioiello d’avorio, tripudio di leggerezza, morbidezza e luminosità – sono necessari 6 mesi. Si parte dalla creazione della Rosetta, il centro della calotta, con otto fili di fibra a formare un intreccio. Si aggiungono altri fili di paglia per incrementare la grandezza del cerchio e raggiungere la dimensione desiderata della calotta. Intreccio dopo intreccio, si arriva al bordo, chiamato dagli ecuadoriani “ali di cappello”. Ai rifinitori il compito di ultimare il cappello: cercano piccoli buchi o una differenza cromatica nella paglia; correggono gli errori, eliminano i residui, stringono filo dopo filo, facendo diventare il Panama perfetto. Il “Montecristi” non deve essere troppo lavorato. Basta disciplinarne l’ovale e il bordo grazie a una forma in legno, aiutandosi con un po’ di vapore. Infine, viene applicata l’inconfondibile banda in canneté, sigillo di questa quintessenza di lusso allo stato puro: tradizione vuole sia nera, ma con il passare degli anni – complice l’evolversi della moda – le varianti cromatiche si sono moltiplicate, volte a soddisfare i gusti più esigenti.
La produzione di un simile copricapo ha dato vita a una lunga filiera di artigiani, tessitori, commercianti e cappellai, tutti accomunati dalla conoscenza e dalla dedizione necessarie per la realizzazione di un simile magistrale capolavoro, portabandiera della ricercatezza e dalla passione che Borsalino da sempre riversa nella realizzazione di accessori da capo…per denotare con stile – partendo dalle note di testa - la personalità di ciascuno di noi.   

lunedì 26 marzo 2012

ABOUT_La moda dei musei di moda





La moda è in relazione con le arti visive da tempo, mostrando letture e interpretazioni interessanti di mondi in apparenza dissimili ma in realtà accomunati da molte analogie, frutto di visionarie contaminazioni che proiettano la mente umana aldilà della semplice osservazione, invitandola a scrutare gli infiniti collegamenti sparsi nell’universo delle forme espressive. Ora però la moda si spinge oltre, arrivando anche da sola dentro i musei, senza artisti che la citino o la reinterpretino. Sempre di più – soprattutto nel panorama internazionale - scende dalle passarelle, esce dai negozi ed entra nei templi della cultura mondiale. Un’inversione di rotta che tende a soppiantare – o perlomeno a sottrarre protagonismo e attenzione – alla moda che si occupa di arte visiva in spazi e con mezzi dedicati, fenomeno esploso nell’ultimo decennio: le fondazioni Cartier, Prada, Trussardi e Max Mara – solo per citarne qualcuno – ne sono un esempio così come Pinault con l’acquisizione di Palazzo Grassi e l’apertura di Punta della Dogana, piuttosto che Comme des Garçons con il sostegno a giovani creativi, o ancora Louis Vuitton e le sue collaborazioni con artisti affermati. Il 2012 si prospetta invece ricco di mostre dedicate alla moda contemporanea, proposte da importanti istituzioni museali. In primavera aprono Christian Louboutin al Design Museum di Londra; Louis Vuitton Marc Jacobs al Musée des Arts Decoratifs; Diana Vreeland after Diana Vreeland a Palazzo Fortuny a Venezia; Yves Saint Laurent al Denver Art Museum; Fifty Years of James Bond Style al Barbican di Londra; Elsa Schiaparelli and Miuccia Prada: On Fashion al Metropolitan Museum of Art di New York. Riaprono inoltre le gallerie del costume Victoria and Albert Museum con Ballgowns: British Glamour Since 1950.
E se la moda scende tra il pubblico per condividerne i fasti e la magnificenza, un particolare ringraziamento va senz’altro riconosciuto ad Alexander McQueen…già proprio a lui e a “Savage Beauty”, la retrospettiva tenutasi al Metropolitan Museum of Art di New York lo scorso anno e che ha attratto un numero di visitatori senza precedenti per una mostra non prettamente d’arte: addirittura 661.509, una delle più visitate dei 142 anni di vita del celebre museo. Un successo critico e popolare, che ha portato molti a parlare di McQueen: a conoscerlo per indagarne i suoi tratti stilistici e affezionarsi al suo genio creativo. Un fervore che ha superato i confini dell’arte e della moda, coinvolgendo un pubblico vasto ed eterogeneo, per gusti, età e appartenenza sociale. Grazie ad un allestimento eccezionale, quello che è emerso dalla mostra è stata una visione intricata, di grande impatto scenico ed emozionale. Semplicemente folgorante. Protagonista il genio estroso di Alexander McQueen, che partendo dal grottesco giunge alla bellezza sublime. Un genio che non si limita a disegnare vestiti, ma creazioni che divengono ideali platonici di una realtà effimera, che non c’è e non è mai esistita, ma che - evocata - diviene il sogno fiabesco di belle addormentate nel bosco. Appropriatamente intitolata “Savage Beauty”, la mostra esalta la singolare visione dello stilista della bellezza, scoperta per l’appunto nel grottesco, nel lurido, nel tragico, nei momenti meno piacevoli della storia. Una bellezza che parte dal basso, dal profondo, dalle atmosfere più lugubri per arrivare a un inatteso e stupefacente splendore, coniugando sapientemente gli opposti più estremi in un’armonia suadente e rivelando la sua natura eclatante nell’orrore: per un McQueen personificazione di un moderno Rimbaud. Come sottolinea lo stesso Umberto Eco, nonostante sia stata poco contemplata storicamente, la bruttezza ha probabilmente più spessore della bellezza. In effetti, la forza della visione sublime e complessa di McQueen è dovuta al contesto in cui opera, ossia quello della moda, in cui regna sovrana una concezione facile e scontata della bellezza. Da qui lo slancio vitale della sua cifra stilistica: una bellezza selvaggia, che invade la quotidianità, mettendone in discussione le canoniche definizioni e collegandola a sensazioni inaspettate e perturbanti. Ogni credenziale viene minata, tutte le certezze sono poste in discussione e il risultato è destabilizzante: le condizioni ottimali, offerte dalla moda – che sempre più assolve le funzioni della cultura propriamente intesa – per interrogare le prerogative del paradigma visivo corrente, comunicare nuovi messaggi e invitare ad avere uno sguardo nuovo sulla vita. Non scontato né prefigurato.
Spesso capita di restare incantate di fronte a un paio di scarpe: si arriva a desiderarle ma tuttavia ciò non implica una visione profonda. Al contrario, di Mcqueen affascinano le creazioni mitiche, impossibili, che vanno oltre i limiti della vetrina, rompendo i preconcetti e rispetto alle quali il possesso diviene irrilevante. Il loro significato evocativo è tale da aprire nuovi immaginari, universi sconosciuti, orizzonti sconfinati: per una moda che fa sognare, spingendo la mente lontana…proprio come solo ancora l’arte sa fare e che come essa merita pertanto spazi museali dedicati a prescindere

LEISURE_'Best of' dei musei di moda made in Italy


















Le contaminazioni tra moda e arte sono ormai infinite: dalle vere e proprie mostre celebrative l’estro creativo degli stilisti alle Fondazioni istituite spesso e volentieri dalle grandi maison e con cui offrire spazi nuovi e alternativi alla comunità, passando per i musei, mausolei in cui è racchiuso il prestigio di un marchio insieme alla sua storia, con tutto il suo patrimonio evolutivo di stile e savoir faire, chiave d’accesso per l’Olimpo degli indimenticabili.
Ecco una rapida carrellata di realtà espositive stabili, ammirabili nel nostro Belpaese in occasione di semplici gite fuori porta piuttosto che di tour più strutturati, complice, magari, la bella stagione che sta arrivando. Una sorta di Best of per “toccare con mano” il prestigio manifatturiero delle realtà legate al mondo della moda, per capirne i contenuti stilistici – e le conseguenti evoluzioni – nonché le professionalità coinvolte, a dimostrazione che la moda non si occupa di mere frivolezze soggette alla volontà di chissà chi, bensì è frutto di ricerche e studi accurati - attestanti i gusti e i cambiamenti sociali - intrapresi e portati avanti ogni giorno con passione, dedizione e curiosità da parte di esperti che pensano, creano e realizzano con un genio creativo che si spinge oltre la semplice superficialità apparente. Perché la moda non è casuale, ci circonda ed è dentro di noi: volenti o nolenti è un fenomeno che ci coinvolge in prima persona…chiunque, anche quelli più scettici.
Et voilà gli indirizzi imperdibili di quegli spazi che si rivelano veri e propri archivi della moda italiana. Per una top ten da vero fashion lover, per estimatori del costume e, più in generale, della storia.


Museo Salvatore Ferragamo, Firenze
Chi: il museo di Salvatore Ferragamo documenta l’intera carriera del maestro e la storia della maison fino ad oggi.
Dove: Palazzo Spini Feroni, Piazza Santa Trinità 5R, Firenze.
Quando: da mercoledì a lunedì, dalle 10 alle 18. Chiuso il martedì.
On show: dalla zeppa di sughero brevettata nel 1936 alle tomaie in raffia e cellofan e le calzature delle più grandi star di Hollywood - Greta Garbo, Audrey Hepburn e la famosa zeppa multicolore Rainbow realizzata per Judy Garland dopo il successo de 'Il Mago di Oz'. La collezione viene arricchita ogni anno con modelli rappresentativi della stagione.
Da non perdere: la mostra in omaggio a Marilyn Monroe con i costumi delle sue più famose interpretazioni, ma anche scarpe, accessori, foto e opere d’arte. Da giugno 2012 a gennaio 2013.
Per informazioni: www.museoferragamo.it, tel. 055 3562 455/417/456


Gucci Museum, Firenze
Chi: inaugurato nel 2011 – anno del 90° anniversario della maison – è un omaggio al brand e all’universo di Gucci.
Dove: Palazzo della Mercanzia, Piazza della Signoria, Firenze.
Quando: tutti i giorni dalle 10 alle 20, esclusi il 25 dicembre, 1 gennaio e 15 agosto.
(Ristorante, caffè e libreria dalle 10 alle 23, icon store dalle 10 alle 20).
On show: l’esposizione permanente dell’archivio Gucci è affiancata da una serie d’installazioni d’arte contemporanea selezionate con il supporto della Fondazione Pinault.
Da non perdere: il negozio dedicato ai prodotti iconici di Gucci e la libreria con più di 2850 libri di moda, arte e design. D’obbligo, un pit stop al Gucci caffè e ristorante.
Per informazioni: www.gucci.com, tel. 055 75923302


Museo Borsalino, Alessandria
Chi: inaugurato nel 2006, ricostruisce la storia del famoso cappello e del suo unico processo produttivo.
Dove: Sala Campioni, Palazzo Borsalino, Via Cavour 84, Alessandria.
Quando: sabato e domenica dalle 16 alle 19 (su richiesta si organizzano visite guidate per gruppi durante la settimana).
On show: 2000 modelli, scelti tra i 4000 cappelli d’epoca, sono esposti negli storici armadi realizzati da Arnaldo Gardella negli anni ’20. Ci sono anche prototipi, campioni di colore, manifesti, filmati e una zona dedicata alle esposizioni temporanee.
Da non perdere: l’allestimento propone un percorso circolare e tematico, la cui ultima sezione presenta la produzione dell’attuale fabbrica Borsalino.
Per informazioni: www.borsalino.com, Fondazione Borsalino tel. 0141 326463


Museo internazionale della calzatura Pietro Bertolini, Vigevano
Chi: la prima istituzione pubblica in Italia dedicata alla storia e all’evoluzione della scarpa, con esemplari risalenti a Beatrice d’Este o appartenenti a personaggi storici e papi, passando per le visionarie creazioni di Manolo Blahnik, Jimmy Choo, Christian Louboutin, Giorgio Armani e Gucci. Imperdibile la sala dedicata al tacco a spillo dove è esposto il primo prototipo che, inventato proprio a Vigevano, ha reso nota la città a livello internazionale.
Dove: Castello Sforzesco, Piazza Ducale XX, Vigevano.
Quando: da martedì a venerdì, dalle 14 alle 17.30; sabato e festivi, dalle 10 alle 17.30.
On show: quattro sale e una galleria ospitano circa 400 calzature (su un patrimonio complessivo di oltre 3000 pezzi). Testimoniano la storia e l’economia di Vigevano e l’evoluzione internazionale della scarpa come oggetto di design e di moda.
Da non perdere: la scarpa gioiello del 1920 in argento battuto e capretto dorato, le fantastiche creazioni di Manolo Blahnik e Christian Louboutin nella sezione Stile e Design e la scarpa più grande del mondo appartenuta a Shaquille O’Neal nella camera delle meraviglie.
Per informazioni: museodellacalzatura.jimdo.com, tel. 0381 691636


A.N.G.E.L.O Vintage Palace, Lugo
Chi: uno dei punti vendita di abbigliamento vintage più grandi d’Europa con un archivio di ricerca tra i più interessanti a livello nazionale (riservato unicamente agli operatori del settore moda).
Dove: Corso Garibaldi 59, Lugo.
Quando: aperto dalle 10.30 alle 19.30, chiuso lunedì mattina e domenica (ogni seconda domenica del mese è aperto dalle 10.30 alle 19.30). L’archivio è visitabile solo su appuntamento.
On show: il negozio è un tempio di 1.400 mq consacrato al vintage, con 80.000 capi e accessori. L’archivio storico è una vera e propria biblioteca materiale della storia della moda: 100.000 capi e accessori a disposizione per la ricerca ad uso stilistico di operatori della moda e studenti.
Per informazioni: www.angelo.it, tel. 0545 35200


Museo del Tessuto, Prato
Chi: il più grande centro culturale d’Italia dedicato alla valorizzazione dell’arte e della produzione tessile antica e contemporanea.
Dove: via Santa Chiara 24, Prato.
Quando: lunedì, mercoledì, giovedì, venerdì dalle 10 alle 15. Sabato dalle 10 alle 19, domenica dalle 15 alle 19. Chiuso il martedì.
On show: un totale di 6000 reperti, dai tessuti archeologici a quelli ricamati, ma anche campionari, abiti etnici, macchinari, bozzetti e tessuti d’artista.
Da non perdere: “Il tessuto è tutto” mostra sull’eccellenza della produzione tessile pratese, fino al 9 settembre.
Per informazioni: www.museodeltessuto.it, tel. 0574 611503


Museo del Guanto, Napoli
Chi: un museo interamente dedicato al guanto, nella sede della Fondazione Mondragone. E’ parte integrante del Museo del Tessile e dell’Abbigliamento “Elena Aldobrandini”. Esposti esemplari unici dell’accessorio sinonimo per antonomasia di classe ed eleganza, nonché il celeberrimo abito composto da guanti.
Dove: Piazzetta Mondragone 18, Napoli.
Quando: da lunedì a venerdì, dalle 9 alle 13 e dalle 14 alle 15.
On show: 40 pezzi dal ‘700 ad oggi, macchinari d’epoca e un abito fatto interamente di guanti. Per conservare il ricordo del mestiere e le storie delle attività artigianali napoletane (Napoli è la capitale italiana della produzione del guanto in pelle).
Per informazioni: www.test.fondazionemondragone.it, tel. Fondazione 081 4976104


Fondazione Micol Fontana, Roma
Chi: associazione no-profit istituita nel 1994 per preservare il patrimonio lasciato in eredità dall’Atelier Sorelle Fontana.
Dove: via San Sebastianello 6, Roma.
Quando: la Fondazione è aperta da lunedì al venerdì dalle 10 alle 16. Visite su appuntamento.
On show: abiti, figurini, schizzi, fotografie, ricami, accessori e i modelli creati per donne celebri come Jacqueline Kennedy, Grace di Monaco, Soraya di Persia, Elizabeth Taylor.
Da non perdere: il modello più prezioso è il vestito da sposa creato nel 1949 per il matrimonio di Linda Christian, celebrato a Roma, con il famoso attore di Hollywood Tyrone Power.
Per informazioni: www.micolfontana.it, tel. 06 6787613


Museo di Storia del Tessuto e del Costume, Venezia
Chi: l’appartamento Mocenigo, aperto al pubblico come museo nel 1985, presenta una collezione di costumi, tessuti e mobili del seicento e settecento. Ospita anche mostre temporanee.
Dove: Palazzo Mocenigo, Santa Croce 1992, Venezia.
Quando: dal 1 aprile al 31 ottobre, dalle 10 alle 17. Dal 1 novembre al 31 marzo, dalle 10 alle 16. Chiuso il lunedì.
On show: una selezione dei più importanti capi di abbigliamento, accessori, costumi e tessuti veneziani. Ha anche un centro studi e una biblioteca specializzata.
Per informazioni: mocenigo.visitmuve.it, tel. 041 721798


Galleria del Costume a Palazzo Pitti, Firenze
Chi: il primo museo italiano dedicato allo studio e alla conservazione del costume, situato nella Palazzina della Meridiana di Palazzo Pitti.
Dove: Palazzo Pitti, Piazza Pitti 1, Firenze.
Quando: da lunedì a domenica, dalle 8.15 alle 17.30 (marzo), dalle 8.15 alle 18.30 (aprile, maggio), dalle 8.15 alle 18.50 (giugno, luglio, agosto). Chiuso il primo e l’ultimo lunedì del mese.
On show: 6000 pezzi fra abiti antichi e moderni, accessori, costumi teatrali e cinematografici dal settecento ad oggi. La collezione viene rinnovata ogni due anni con capi estratti dal deposito e lo spazio ospita anche mostre temporanee.
Da non perdere: i capi provenienti dal guardaroba di Eleonora Duse e quelli dalla collezione di Umberto Tirelli, fondatore di Tirelli Costumi (una delle sartorie teatrali e cinematografiche più rinomate a livello internazionale).
Per informazioni: www.uffizi.firenze.it, per prenotazioni: tel. 055 294883