venerdì 30 dicembre 2011

ABOUT_Questione di Stile




Appare evidente che essere alla moda non sia significato garantito di eleganza e buon gusto. Né in particolar modo di stile. E già proprio lui: lo STILE. Cinque lettere che racchiudono in sé il senso che ciascuna di noi dà alla moda. Ma cosa è esattamente lo stile? In prima istanza lo si potrebbe definire come l’imprinting che la moda e la tendenza dettano. Una definizione apparentemente appropriata. In realtà fa riferimento alla sfera più intima e personale di noi. In altre parole è sì l’imprinting ma che noi diamo alla moda. Si tratta quindi di un’accezione che affonda profonde radici nella personalità individuale e fa riferimento all’elaborazione e al significato che diamo alle tendenze della moda. Molti credono che il semplice fatto di vestire firmato sia la cosa veramente importante. In realtà non è così. Infatti, più che il marchio rilevante è il saper elaborare un gusto proprio nella scelta e nell’accostamento dei capi. Pena l’elevata probabilità di divenire fac-simili di manichini glitterati da prestigiose boutique. Bersagliati mai come ora da continui messaggi su come e cosa vestire, essere alla moda oggi significa sviluppare un proprio senso critico che ci guidi nello studio e nella successiva messa in pratica di un nostro look, che molto dica al mondo di noi: chi siamo, le nostre caratteristiche, le nostre qualità. Quasi come a dire siamo quello che vestiamo!. Impariamo quindi a indossare, abbandonando la tendenza maniacale ad adornarci o a dare parvenza di quanto non siamo. Ispiriamoci sì ma con parsimonia, nel senso che è lecito e anche utile trovare suggerimenti o idee pratiche nell’abbigliarci, ma non arriviamo a emulare e riproporre in tutto e per tutto modelli iconografici imposti spesso e volentieri più dall’industria che da un vero e proprio fenomeno di costume in sé. Pena lo sconfinamento nel limbo del ridicolo, dai quali poi solo una successiva e fondata presa di coscienza, accompagnata da un fervido esercizio di stile, può riportare sulla retta via. L’invito è quindi quello di vestire come siamo, a seconda della nostra personalità e, perché no, del nostro umore. Ciascuno è bello nella sua individualità, con tutte le sue sfumature, sfaccettature di stati d’animo e declinazioni di talenti strettamente legati alla persona. Nella nostra quotidiana opera di immagine procediamo preservando la nostra identità: per capire le nostre eccellenze al pari delle nostre criticità, enfatizzando le prime e cercando di far pace con le seconde, per accettarle e imparare a conviverci.
Solo così saremo noi stessi e avremo uno stile tutto nostro. Solo nostro. A nostra immagine e somiglianza, fatto su misura per noi. Nell’epoca per eccellenza dell’omologazione e delle produzioni in serie.

giovedì 29 dicembre 2011

LEISURE_Salvatore Ferragamo e le 8 Regole d'Oro






Si dice che per capire davvero chi è un uomo o una donna bisogna guardare prima di tutto le scarpe che indossa: perché è lì, nel punto in cui il corpo aderisce al mondo, e nel modo in cui esso si sposta, che si definisce il mistero della personalità. E proprio questo è il merito di Salvatore Ferragamoil calzolaio delle dive, così soprannominato a Hollywood: aver definito e disegnato con precisione sublime, attraverso le calzature, il nostro punto di contatto con il mondo e quindi il nostro modo di muoverci in esso.
Una storia leggendaria la sua, da sembrare quasi una fiaba. Ovviamente a lieto fine. Partito per l’America negli anni ’20, approda a Santa Barbara in California dove fonda un laboratorio calzaturiero che in men che non si dica diviene mecca adorata da quello star system che sta nascendo proprio in questi anni e dominerà con garbo magistrale la storia cinematografica – e alle volte la cronaca rosa - nei decenni a venire. Le grandi dive del cinema muto, da Mary Pickford a Pola Negri, diventano sue clienti, affidando al suo estro la cura dei loro piedi. Da qui il suo interesse per lo studio dei criteri di calzata, avvalorato da approfondimenti di anatomia del piede effettuati presso la University of California e tradotto in meraviglie calzaturiere che danno stabilità al corpo, consentendo al contempo di camminare bene. Le sue creazioni diventano sempre più prestigiose tanto da conquistare il cuore e i piedi di alcuni dei più importanti protagonisti del ‘900 con tanto di modelli creati ad hoc ed entrati a far parte dell’archivio della maison: da Marilyn Monroe a Audrey Hepburn, da Andy Warhol a Ingrid Bergman. Celeberrima sarà la sua Vara con nastro in gros-grain declinata in un’infinita palette di colori, così come il gancino quale segno distintivo della maison o ancora la sua zeppa con la forma a F riprendente l’iniziale del cognome e l’utilizzo di materiali inusuali al tempo per le calzature - dal nylon ai pezzi di specchio, dalla rafia alla pelle di pesce – insieme ai più nobili capretti e vitelli nonché agli esotici coccodrilli. Questi come tanti altri i successi di un uomo che nella sua autobiografia si definisce “calzolaio dei sogni”, proprio in virtù del fatto di tradurre in realtà la singolarità e l’irripetibilità del sogno. Ma anche quasi ad evocare la suggestione che il mondo del cinema dà di se quando decide di chiamare Hollywood la “fabbrica dei sogni”. Ironia del destino o segno premonitore, fatto sta che in ogni caso enfatizzato è l’indissolubile legame esistente tra quest’uomo, dall’estro visionario misto al gusto per l’artigianato, e la settima arte made in USA. Per scarpe che fanno sognare. Per Cenerentole metropolitane dei tempi moderni, che ogni giorno, indossando queste calzature, divengono affascinanti principesse.
Ma ecco cosa ci viene suggerito dal “calzolaio dei sogni” relativamente a come tenere un paio di scarpe. E vista la fonte non vi è da dubitare! 8 regole d’oro da portare sempre con sé. Perché il nostro piccolo sogno duri in eterno.

  1. Un paio di scarpe nuove non va indossato per molte ore consecutive. Una volta che il piede si è abituato alla scarpa si può iniziare a portarla tutto il giorno
  2. Non bisognerebbe indossare lo stesso paio di scarpe per due giorni di seguito: osservate un intervallo minimo di 24 ore per permettere alle calzature di riposare
  3. Per infilare le calzature utilizzare sempre un calzascarpe
  4. Prima di togliervi una scarpa con i lacci sciogliete completamente le stringhe per permettere al piede di sfilarsi agevolmente senza impedimenti
  5. Una volta sfilate le calzature vanno immediatamente inseriti i tendiscarpe che sono stati costruiti su misura per il modello
  6. I tendiscarpe vanno inseriti anche in caso che le calzature siano bagnate a causa di pioggia o neve. In tal caso le scarpe non vanno appoggiate sulla suola ma sul lato e lasciate asciugare un giorno intero
  7. Ogni volta che le scarpe sono state indossate è raccomandabile pulirle e lucidarle anche se in apparenza non hanno perduto la loro brillantezza
  8. Nel caso in cui un paio di calzature non venga usato per un lungo periodo, spalmate un sottile strato di lucido, riponetele nel sacchetto di stoffa fornito e conservatele dentro una scatola facendole riposare sulla suola.

mercoledì 28 dicembre 2011

PEOPLE_Guillaume Hinfray: il lusso ai nostri piedi









Un piercing le signe distinctif, ma ancora di più l’elemento di rottura dai canoni convenzionali, che dà un’anima punk-chic a una collezione di calzature ribelle ma estremamente luxury, che di nome fa Guillaume Hinfray. Ecco allora uno stivaletto dall’esprit squisitamente parisien mostrare due piccole boules all’estremità della caviglia, così come una décolletée guerriera lasciar oscillare una pin metallica dallo stiletto.
Elementi identificativi, cifre stilistiche inconfondibili di un brand giovane ma già arrivato alla maturità dei codici estetici con cui si propone. Guillaume Hinfray nasce nel 2002 dal sodalizio oggi ventennale di due fashion designer che sognavano di dar forma a calzature dall’anima cosmopolita ma dal sapore underground, gotiche quel tanto che basta, a volte fiabesche, irriverentemente maschili e concettuali. Sempre e comunque all’insegna del glamour più puro. Si diceva due anime…Marco Censi è la personalità più pragmatica, colui che rende possibili i più visionari sogni stilistici. Il normanno Guillaume Hinfray, invece, oltre a dare nome al brand, dona l’impronta sartoriale in virtù del suo passato targato haute couture presso maison prestigiose come Hermès, Lanvin e Rochas e corredato da esperienze made in Italy del calibro di Bottega Veneta e Salvatore Ferragamo. Due anime che divengono inseparabili in un’unica entità.
Due volte l’anno il loro appuntamento nel buen retiro di un colombage nel cuore della Normandia: un rifugio cercato per disegnare le nuove collezioni, complici una pace quasi onirica e un silenzio della natura che diviene loro musa ispiratrice. È in questo quadro fiabesco e a tratti surreali che prendono vita piccoli bijoux come “Leal” dal tacco arcuato come la capriata di una cattedrale e la pelle tagliuzzata a mano, che rivela una morbidezza simile a quella del velluto di seta, o ancora le décolletées realizzate in branzino e dall’interno in raso.
Scarpe di altissima qualità, in cui la cura del dettaglio e la ricerca di materiali spesso inusuali sono protagonisti di ogni fase di lavorazione, dalla progettazione alla produzione effettiva.
Un lusso unconvetional, spiccatamente privato e per veri intenditori, sicuramente nonseasonal. Lo stesso lusso che da Bergdorf Goodman e Barney’s (uniche mecche elette fino a poco fa in cui trovare queste meraviglie) è approdato a Milano e si può respirare nella prima Intimate Boutique, aperta in via Cerva. Non il classico negozio, bensì un accogliente e intimo salotto, dall’allure shaggy-chic. Un luogo dedicato, dove nessun dettaglio è lasciato al caso, dalle opere d’arte come Change the way you see everything all’imponente lampadario in cristallo dal peso di 80 kg, per non parlare delle poltrone. Un lusso trasandato di grande charme, incontro tra arte e moda.

martedì 27 dicembre 2011

STYLE_Tuxedo code: l'eleganza maschile declinata al femminile







Tuxedo per gli americani, smoking per francesi e italiani, dinner jacket per gli inglesi: qualunque sia la sua nomenclatura – diversa per competenza territoriale in quanto associata a determinati significati evocativi – invariata resta la sua resa formale, composta da pantalone e giacca abbinati (eventualmente corredati da gilet) di ispirazione squisitamente maschile, reinterpretati in chiave maliziosamente femminile. Una combinazione strutturata di forme e tagli che, splendendo di eleganza propria, esaltano un’intrigante sensualità appena sussurrata.
Via libera quindi per noi donne a far visita al guardaroba di mariti, figli e fratelli. Una sola condizione oblige: rimetterci mano con gusto e occhio da vera femme fatale. Una femme fatale che non ha bisogno di ostentare ma piuttosto opta per la quintessenza della sobrietà, fatta di capi semplici, non esasperati, ma dall’intrinseco potere seduttivo. All’insegna di un androgino mania, che strizza l’occhio con disinvoltura a una declinazione men style in fatto di note eleganti. Per un’armonia delle parti che danno il meglio di sé in una ricombinazione dei generi.
A ciascuna quindi il suo tuxedo/smoking/dinner jacket che dir si voglia, stupefacente lasciapassare di ogni stagione, classico e intramontabile nello stile, rigoroso e sensuale nelle forme, innovativo nello spirito. Sull’esempio di Bianca Jagger, immortalata in una foto degli anni ’70 avvolta in un fasciante quanto femminile smoking, ispiriamoci a questo stile per un look che non passa inosservato e resta inalterato nella sua semplicità. A Monsieur Yves Saint Laurent il plauso di averlo sdoganato dall’universo maschile e averlo introdotto in tutto la sua magnificenza tra le mises iper femminili. E sulla scia delle orme del maestro, seguiamo alla lettera i suoi dettami stilosi e attiviamoci per inguainarci in uno di questi meravigliosi completi. Per un gioco d’intrigo garbato e silenzioso.
Per chi osa e vuole azzardare le interpretazioni oggi si moltiplicano e alla classica versione giacca più pantalone si accompagna la variazione giacchina mignon – gonna fasciante. New entry inoltre rielaborazioni più o meno trendy giocate su dettagli come le spalle o le lunghezze o ancora sui tessuti. Per una variazione sul tema di un capo dall’allure intramontabile.

STYLE_Altezze vertigo per uno stile che misura in centimetri









Che si tratti di décolletées, stiletti, stivali, cuissards l’importante è che i nostri piedi si poggino su tacchi alti, anzi altissimi. Per cui spalle dritte (sinonimo di una certa sicurezza di sé), incedere maestoso (per farsi strada nella confusione metropolitana), autostima a gogò (non si passa inosservate) e una gran voglia di svettare (viste le altezze): questi i requisiti fondamentali per osare con tacchi che arrivano ai 12-14 cm (e sempre più improntanti ai 18-20). Altezze vertiginose spesso ammortizzate da comodi e chiccosissimi plateaux di 3-4 cm che riducono così il tacco effettivo ad un semplice e irrisorio 7-8, se così si può definire. Di cosa lamentarsi quindi? Basta solo e soltanto aver la voglia di osare et voilà! il gioco è fatto.
Il portamento e la camminata assumono una femminilità del tutto unica nonché un ruolo da protagonisti indiscussi. Quindi meglio andare con i piedi di piombo (giusto per stare in tema) e osare solo se siamo realmente all’altezza della situazione, evitando di dare libero show con vibranti camminate tanto improbabili quanto insicure.
Il parere dei podologi? Critico per i tacchi eccessivi che fanno assumere ai piedi una posizione ruotata verso l’interno con conseguenti danni alle ginocchia, spostano il baricentro del corpo sulla parte anteriore della pianta, facendo così inarcare la zona lombare della colonna vertebrale, ma concordi sui benefici dovuti all’alternanza tra altezze diverse, invitando quindi a passare dai cari stilettos alle ballerine over flat e viceversa. Per un mix tra uno street style newyorkese ad alto tasso glam e un’allure dal gusto molto bcbg dal sapore vagamente Rive Gauche.
E quindi organizziamo mise e look nell’arco della settimana: lunedì via libera a mocassini bon ton, martedì agli irrinunciabili stiletto, mercoledì passiamo ad una chic quanto snob stringata con lavorazione a coda di rondine (magari in pelle bicolore nel più perfetto stile collegiale), giovedì fascianti cuissards con platform e così via.
Come sempre, da Aristotele in poi, anche in questo caso la verità sta nel mezzo: in altre parole solo tacchi piuttosto che ballerine non sono il massimo per tarso e metatarso, bensì variare sui generi - e quindi sulle altezze – diviene la strategia vincente, sia dal punto di vista salutare che estetico. Da vera fashionable elegante e accorta.
Si sa però che nessuno nasce con i tacchi al piede. Per portarli con la giusta grazia ecco qualche utile consiglio da non scordare:
  1. spalle e schiena dritte (perla di saggezza tanto cara alla mamma!!)
  2. mentre si cammina incrociare leggermente i piedi…dà più stabilità!
  3. proporzionare i tacchi alla propria altezza. Per le più piccole vietato superare i 10 cm altrimenti si rischia di essere più tacco che gamba!!
  4. rapportare il tacco al proprio peso. È facile immaginare che un sottile stiletto non possa reggere chili in eccesso. Max 7-8 cm per chi non ha un peso forma ideale;
  5. vietato emulare le sorelle di Cenerentola. Molte donne, spinte forse dall’ideale estetico diffuso nell’Estremo Oriente e datato qualche secolo or sono che voleva associare al piede piccolo un ideale di erotismo e femminilità, acquistano calzature più piccole del loro numero effettivo. Errore gravissimo! Pena l’insorgere di unghie incarnite, alluce valgo e fastidiosissimi dolori. Se acquistare un abito di una taglia in meno non rappresenta un problema bensì sprona a mettersi a dieta per perdere i chili in eccesso che impediscono di indossare l’oggetto del desiderio, comprare scarpe piccole è tassativamente vietato…se non vanno bene oggi non lo andranno nemmeno domani.
Ma dictat assoluto e sopra ogni cosa osare, osare, osare! Questo più di ogni altro è il tacito imperativo da rispettare.
Tacchi a oltranza, dalle forme più classiche – emblematiche le Roger Vivier - a quelle più artistiche come il tacco giraffa di Louis Vuitton, lo scultoreo di Paciotti e il fantasmagorico di Alexander McQueen, tripudio di altezze infinite, degne del più accurato studio ingegneristico. E poi ancora il vertebrato tacco e lo stivale-pattino chez Dsquared e il lipstick mood per Alberto Guardiani che al momento dell’acquisto fornisce un cofanetto con 5 diversi colori di rossetto da intercambiare, in modo da avere una calzatura con un trucco sempre diverso. Senza limiti e per tutti i gusti, sagomati, vorticosi o lineari che siano, i tacchi sono la chiave d’accesso per l’infinito.
Les chaussures protagoniste quindi della scena di ogni collezione: loro il fulcro attorno al quale tutto il guardaroba femminile ruota, come dimostrano gli andamenti economico-finanziari che non di rado attestano un incremento degli acquisti di calzature su quelli di abbigliamento e borse anche da parte di chi può permettersi un solo capo griffato a stagione.
Una lieta notizia per l’industria calzaturiera italiana che vanta nomi d’eccellenza: Salvatore Ferragamo (intramontabile il suo nastro in gros-grain, dettaglio inconfondibile si stile), Sergio Rossi e Gianvito Rossi (una passione tramandata di padre in figlio…), René Caovilla con le sue scarpe gioiello-scultura e ora con la figlia Giorgia e la sua griffe O’Jour, Giuseppe Zanotti tanto amato dalle star di Hollywood e adesso designer della shoes collection by Madeleine Vionnet, e poi ancora Casadei (che con il marito Giuseppe Zanotti condivide estro ed eleganza), Cesare Paciotti, Les Tropeziennes.
Professionisti della calzatura che con dei piccoli capolavori, sintesi perfetta di creatività ed ingegno, ci fanno sentire delle regine, passo dopo passo nel lento o rapido incedere delle nostre giornate.

venerdì 23 dicembre 2011

LEISURE_Il Natale secondo Guillaume Hinfray: in bilico tra sacro e profano



San Gregorio, Sant’Agata e Santa Isabella dipinti dall’artista spagnolo del XVII secolo – Francisco de Zurbaràn – sono il regalo che Guillaume Hinfray, brand di calzature di lusso unconvetional, ha pensato per le vetrine della sua boutique di via Cerva 18 a Milano.
Una celebrazione inedita e originale - in bilico tra sacro e profano - ma al tempo stesso fedele allo stile gothic-chic e allo spirito della maison. Nel corso della settimana natalizia una mostra speciale abbellirà le vetrine della boutique milanese con le tre maestose immagini dei santi che, a grandezza naturale e illuminate da un sapiente gioco di chiaroscuri, veglieranno sulle calzature.
Un omaggio a uno dei maggiori esponenti del realismo spagnolo, divenuto celebre per i dipinti raffiguranti personaggi religiosi ed esponenti della società ecclesiastica dell’epoca che, complici il contenuto dottrinale e il messaggio spirituale, collocano Zurbaràn accanto ai grandi mistici del “siglo de oro” della Spagna.
Il gioco del contrasto, forte e intrigante, trova in questo spazio la sua esasperazione. Le scarpe, quasi fossero oggetti sacri, dominano esposte su troni gotici e colonne romane: un tocco di storia edulcorato dalla sapiente illuminazione di neon fosforescenti. Nel più autentico segno della contemporaneità.
La stessa contrapposizione che si vive nel salotto interno della boutique, il cui gusto shaggy chic è temperato dalla melodia delle musiche natalizie e dal calore dei libri antichi: uno spettacolo sospeso tra finzione e realtà, per una moda che molto guarda alla magica essenza del Natale.
Per regalare sogni indimenticabili.

giovedì 22 dicembre 2011

STYLE_Liberiamo la cravatta! Parola di Hermès




Simbolo per antonomasia dell’eleganza maschile, fatta di quello splendido e luminoso tessuto qual è la seta, pronta ad adempiere il suo dovere stiloso cingendo colli si stima in ben 85 modi diversi, la cravatta deve le sue origini –almeno etimologiche – ai nostri cugini d’Oltralpe, i quali, a loro volta, si sono spinti fino all’anticamera dei Balcani e per la precisione in Croazia. Il termine cravatta, infatti, deriva dal francese cravate che a sua volta strizza l’occhio al croato hrvat che, senza bisogno di sforzi fantasiosi, significa per l’appunto croato. I cavalieri croati assoldati da Luigi XIV portavano infatti al collo una sciarpa, originariamente apostrofata come sciarpa croatta, abbreviata poi in croatta e quindi in quella giunta sino ai giorni nostri come cravatta. Vantando una confluenza culturale e storica non indifferente, si è imposta nel tempo come un accessorio quotidiano di un look maschile spesso sinonimo di businessman affermato piuttosto che di manager rampante dall’allure molto Wall Street, contaminandosi così di espliciti riferimenti sociali – alle volte classisti - ma pur riuscendo a mantenere inalterato il suo nobile spirito. Che sia in tinta unita, a righe (familiarmente nonché impropriamente nota come Regimental - appellativo appannaggio in verità di cravatte caratteristiche di uno specifico reggimento o club, tipico della tradizione anglosassone), a pois o in fantasia, la cravatta denota tutto il suo fascino per merito della preziosità del tessuto con cui è realizzata - nella maggior parte dei casi bellissime sete made in Como, ça va sans dire – nonché per il modo in cui è annodata: una vera e propria prova del nove che non poche volte mette in crisi uomini più o meno navigati. Il nodo, infatti, molto dice e del tessuto e quindi della sua tendenza o meno a seguire le pieghe, ma ancor più del gusto stesso della persona che la indossa, accennando o la naturale inclinazione al buon stile o la sforzata – e pertanto ostentata – ricerca di perfezione, che purtroppo altro non produce se non risultati in netta controtendenza rispetto a quelli sperati. E qui dottrina docet in fatto di nodi, svelando fenomeni di costume degni di nota nonché interventi di personalità di altissimo livello, celati spesso dietro nomi curiosi e implicanti una manualità sempre più abile nell’annodarla, con la seta che gira e rigira su se stessa, al ritmo delle note di un valzer di Strauss: Four-in-hand (ovvero il nodo semplice, diffusissimo oggi come allora, realizzato in quattro passaggi e derivante dall’omonimo club londinese del XIX secolo); Mezzo Windsor (sei passaggi, una versione meno corposa del Windsor); St. Andrew (sette passaggi, caratterizzato dalla particolare sporgenza della cravatta dal collo prima che ricada sul petto); Windsor (otto passaggi, assai popolare negli anni ’30 quando il duca di Windsor, per l’appunto, cominciò a prediligere nodi piuttosto voluminosi); Balthus (nove passaggi, a firma dell’omonimo pittore surrealista del ‘900). Da qui in poi un’immensa distesa di gestualità sempre più disinvolte che, con tanto di modelli matematici alla mano, sono state classificate in un totale di 85 possibili tecniche. Provare per credere verrebbe da dire. E se per Oscar Wilde “Una cravatta bene annodata è il primo passo serio nella vita” (giusto per riallacciarci all’importanza del nodo), nel non lontano 2009 la maison Hermès promuove, scrive e diffonde via web un ironico e provocatorio – ma in fondo serio e motivato – “manifesto per la liberazione della cravatta”. Con una serie di motti a effetto che sorridono maliziosamente a quelli ben più noti del Sessantotto, la maison si fa portavoce di questo accessorio e delle sue legittime rivendicazioni, dotandolo in un certo qual modo di personalità propria e affrancandone lo spirito. “A partire da oggi” – questo l’incipit del manifesto – “una cravatta è innanzitutto una cravatta”. E i suoi diritti, così come vengono elencati, sono: “1. Il diritto al paradosso; 2. Il diritto all’eccesso; 3. Il diritto di scegliere la propria larghezza; 4. Il diritto al cuoio; 5. Il diritto alle falde; 6. Il diritto di rimanere bambina; 7. Il diritto di non tener conto dei diritti precedenti; 8. Il diritto di cambiare idea”. Un inno alla vita e alla libertà per un accessorio così simile a un guinzaglio. Che elimini gli stereotipi più convenzionali che lo vogliono relegato a semplice corollario di un look un peau agé. Via libera dunque alla fantasia e alle interpretazioni, anche per arrivare a cambiare opinione o addirittura a negare tutto di tutto. Condizione imprescindibile, però, mantenere intatta la propria identità, valida legittimazione di tutti i diritti enunciati sopra e unico fondamento per liberare la propria personalità nel debutto col mondo. 

mercoledì 21 dicembre 2011

STYLE_Animal print: un istinto felino dal passato glorioso








Leopardato, tigrato ma anche zebrato. Il maculato - rivendica il ruolo da protagonista che gli spetta d’onore nel guardaroba femminile. Un must intramontabile che, a dispetto degli inflazionati e spesso troppo azzardati utilizzi attuali, vanta storiche e nobili origini: nell’antichità era infatti simbolo d’appartenenza al comando e di discendenza aristocratica. Era indossato da principi, magistrati e sacerdoti; le donne dell’antico Egitto se lo dipingevano sulle tuniche utilizzando una tecnica simile allo stencil. Nei ritratti rinascimentali dei potenti era elemento di decoro di abiti e manti. Maculati anche il trono di Napoleone e i cappotti bordati di Gabriele D’Annunzio, Esteta per eccellenza del XX secolo.
In tempi a noi più vicini, entra a far parte dell’Olimpo glam nel 1947 quando Christian Dior lo propone in veste total look. La strada a simbolo di lusso estremo è breve e per anni resta dettaglio di stile ed eleganza accesile a pochi. Negli anni ’80 è protagonista di un’insolita quanto superlativa “democratizzazione” che lo porta ad essere chiccoso corollario di look iperfemminili. Nomi del calibro di Valentino, Gianni Versace, Roberto Cavalli, Alexander McQueen, John Galliano, Azzedine Alaïa e Jean Paul Gaultier nel corso della loro evoluzione stilistica non hanno saputo resistere al fascino del maculato e all’ideale evocato di femminilità felina, tipica di una donna preda-predatrice. Anna Molinari, alias Blumarine, gli ha addirittura dedicato una collezione speciale – Blumarine Urban Wild – fatta di tubini, abiti da cocktail, soprabiti e giacchine avvitate. Tutte rigorosamente a macchie, ça va sans dire! Una fascinazione che li ha portati a realizzare capi di rara bellezza, nobilitandolo al rango di sovrano dello stile femminile.
Consacrato di diritto nell’Olimpo degli immancabili da guardaroba, tutto si tinge di animalier: semplici inserti, vezzose calzature, interi outfit. Il segreto è saper osare con garbo ed eleganza, intuendo il punto di equilibrio stabile tra rigore ed estro.

martedì 20 dicembre 2011

ABOUT_Che cosa è la Bellezza?



Per Oscar Wilde “La Bellezza è una forma del Genio, anzi, è più alta del Genio! Essa è uno dei grandi fatti del mondo. Non può essere interrogata: regna per diritto divino”. Seneca affermava già all’epoca che “Una donna bella non è colei di cui si lodano le gambe, ma quella il cui aspetto complessivo è di tale bellezza da togliere la possibilità di ammirare le singole parti.” Si può parlare quindi di bellezza come di un fatto divinamente eccelso, che non va indagato perché così è: non vi sono spiegazioni, né possibili tentativi di emulazione. Esiste e basta. Come valida alleata: la volontà divina. Un divino che ritorna anche in Jean Anouilh, secondo il quale “La bellezza è una di quelle rare cose che non portano a dubitare di Dio”, e in Robert Browning “Se hai bellezza e nient’altro, hai più o meno la miglior cosa inventata da Dio”. Prova pertanto tangibile del creato e del bene destinato all’umanità. Almeno in certi casi. E d’altronde anche nelle fiabe il bello è un concetto associato a un’idea di benevolenza, tipica di fate, principesse e dame dell’amor cortese; al contrario la bruttezza evoca malignità e odio, caratterizzando lo spirito e l’immagine di streghe, matrigne e meduse infernali. In questo senso Immanuel Kant docet “Il bello è simbolo del bene morale”. Un bello associato al bene tanto che secondo Dostoevskij “Non la forza, ma la bellezza, quella vera, salverà il mondo”.
Un concetto che, nonostante caricato spesso di valenze meramente estetiche, trasuda un’intrinseca connotazione etica e filosofica e accompagna la civiltà da secoli, tanto da disturbare il sommo Seneca che, lungimirante, poneva l’attenzione sull’importanza della proporzione delle parti. Bellezza come parte del tutto quindi. Pervade la persona che la possiede, evolve da essa, fino a involvere colui che la ammira. Strettamente legata a questa definizione si pone l’interpretazione secondo la quale la bellezza va oltre la semplice immagine e comprende ben altro - stile, portamento e movenze in primis. Christian Dior affermava “Il segreto della bellezza consiste nell’essere interessante. Nessun tipo di bellezza può essere attraente se non è interessante”. Un interessante che può scaturire da diversi fattori e che denota la nobiltà del concetto di bellezza, vittima solo negli ultimi tempi di una mercificazione ad aspetti tanto banali quanto volgari. Sulla stessa lunghezza d’onda Omero che associava la bellezza alla grazia - “La bellezza senza la grazia è un amo senza l’esca” - ponendo forse l’accento ancora su un aspetto per così dire divinatorio. Ma anche bellezza come Estetica intesa nel senso più puro del termine, come fattore capace di suscitare felicità, o addirittura come la manifestazione tangibile di quest’ultima. Ecco quindi Charles Baudelaire, le poète maudit, affermare che “Ci sono tanti tipi di bellezza quanti sono i modi abituali di cercare la felicità”, o ancora Stendhal “La bellezza non è che una promessa di felicità” e sulla scia di questa affermazione Marcel Proust “E’ stato detto che la bellezza è una promessa di felicità. Inversamente, la possibilità del piacere può essere un principio di bellezza” . Felicità e bellezza quindi legate in maniera indissolubile; addirittura l’una la causa dell’altra e viceversa. Ma nonostante induca la felicità, essa ha un volto velato di malinconia e mestizia, sublimi e raffinate espressioni di una qualità così divina ed irrinunciabile. “Non pretendo che la gioia non possa accompagnarsi alla bellezza; ma dico che la gioia è uno degli ornamenti più volgari, mentre la malinconia è della bellezza, per così dire, la nobile compagna, al punto che non so concepire un tipo di bellezza che non abbia in sé il dolore” affermava Baudelaire, e più ancora Benedetto Croce, che ne tracciava i reali connotati: “Un velo di mestizia par che avvolga la Bellezza, e non è velo, ma il volto stesso della Bellezza”. Un dolore forse legato alle difficoltà implicate al suo raggiungimento dapprima e al suo mantenimento poi, se si vuole evitare di ricorrere a metodi ispirati a Dorian Gray. Hermann Hesse forse più di tutti esprimeva il senso di una tale malinconia “La bellezza non rende felice colui che la possiede, ma colui che la può amare e desiderare”. Un’infelicità propria quindi che determina una felicità altrui: una sorta di felicità riflessa. E così si scopre l’inclinazione altruista della bellezza, con buona pace di quanti invece la tacciano di egocentrismo e cinismo.
Imperfezione per Marilyn Monroe, splendore del vero per Platone, ornamento della virtù per Leonardo, la bellezza ha sempre regnato sovrana nelle menti della civiltà, suscitando dibattiti e riflessioni. Nelle menti così come nell’anima e nella soggettività di ciascuno di noi: per Kahlil Gibran  “La bellezza delle cose varia secondo le emozioni; e così noi vediamo magia e bellezza in loro, ma in realtà, magia e bellezza sono in noi”, mentre per David Hume “La bellezza delle cose esiste nella mente che le contempla”. Per un’interiorità chiamata ad interpretare l’esteriorità, coniugando l’individuale con l’universale, in una resa armonica degli estremi che perdono il loro carattere di opposti a favore di una melodia di fondo. E se il genio stilistico Alexander McQueen la trovava nel grottesco, per Franz Kafka diveniva addirittura elisir di lunga vita “La giovinezza è felice perché ha la capacità di vedere la bellezza. Chiunque sia in grado di mantenere la capacità di vedere la bellezza non diventerà mai vecchio”. Dello stesso avviso Oscar Wilde per il quale la tirannia del tempo si fermava di fronte la bellezza, per cui “Ciò che è bello è una gioia per tutte le stagioni, ed è un possesso per tutta l’eternità”.
Bellezza quindi come divinità, bene morale, felicità per sé e per gli altri; tanto interessante quanto soggetta alle personali inclinazioni, quanto immortale nel tempo. Tanto immortale da aver attraversato nella sua longevità la storia della civiltà ed aver indotto un celebre dandy a scendere a patti col diavolo. Adesso tocca a noi! Cercando di capire nel frattempo se belli si nasce o si diventa. Senza dimenticare che, in ogni caso, se di bellezza si tratta, si intende una qualità talmente eterea da non poter conoscere la contaminazione di aspetti volgari tipicamente legati alla più banale umanità.

STYLE_Il braccialetto by Cruciani: un intreccio di macramè, simboli e significati evocati




Un desiderio per ogni quadrifoglio…un quadrifoglio per ogni desiderio. Simbolo di speranza, gioia inattesa e buon auspicio, il quadrifoglio, in ogni dove, è associato ad avvenimenti nuovi e felici. Data la sua rarità, molti popoli lo considerano una pianta sacra e un potentissimo portafortuna. Sia per chi lo trova che per chi lo riceve in dono. Tradizione vuole che ogni foglia rappresenti una qualità e precisamente, nell’ordine, reputazione, ricchezza, salute e amore sincero.
Un credo di simbolismi e interpretazioni evocative che ora trovano vita nel celeberrimo Braccialetto Quadrifoglio by Cruciani, marchio di maglieria di lusso. Un amuleto che assume le sembianze di un gioiello ad ago, composto da 7 quadrifogli (7 sono le meraviglie del mondo) e corredato da una frase di buon auspicio tradotta e stampata in 9 lingue: l’eccezione che conferma la regola di una maison costantemente incline alla ricerca della qualità. Disponibile in 30 colori diversi, si può proporre sia in forma di kit, con l’esclusiva pochette di raso di cotone ricamata con filo verde, o singolarmente. Un’idea regalo originale e curiosa, sicuramente inusuale. Una proposta vivace e colorata, adatta alla mise più informale così come a quella più rigorosa. Più semplicemente un dettaglio chic per ogni look ed ogni ora della giornata. Una moda esplosa nell’agosto 2011 e divenuta subito un fenomeno di tendenza, catalizzando attenzioni e registrando un successo sorprendente nelle boutique di Milano e Forte dei Marmi. E da lì declinata in una serie di modelli, sempre realizzati in macramè: la romantica e misteriosa versione con i cuori e il Ponte Milvio, pensato per gli innamorati in occasione delle festività natalizie e composto da due braccialetti, uno con la chiave e l’altro con il lucchetto, a suggellare l’eternità di una felice e serena liaison. Ma non è tutto. Contro la profezia Maya che annuncia il 2012 come la data cruciale della fine del mondo, Cruciani dà il benvenuto all’anno che verrà – l’anno del dragone – con un braccialetto raffigurante l’effige mitologica.
A voi dunque l’ardua scelta!

lunedì 19 dicembre 2011

ENTERTAINMENT_Un intreccio musicale in stile Bottega Veneta


L’atmosfera è quella da sfilata. E che sfilata!...ci troviamo infatti nel front row di uno dei più inusuali defilé della maison dal celebre motivo a lavorazione intreccio della pelle. Due parole per togliere ogni ombra di dubbio: Bottega Veneta. E come durante gli istanti immediatamente precedenti l’inizio, si respira un’allure sofisticatamente implicita quel tanto che basta per evocare un mix&match di semplicità esclusiva e preziosità naturale. Immaginiamo intorno a noi volti sorridenti e curiosi di vedere la collezione, con una venatura di sano snobismo…qualcuno di famoso ma senza clamorose ostentazioni…i riflettori si abbassano…significa che ci siamo. Lo show sta per iniziare! Partono le prime note, su le luci e via la first face – nel nostro caso la first track - di uno dei 2 cd che compongo la special compilation Intreccio Uno di Bottega Veneta. Traccia dopo traccia è un susseguirsi di suoni eclettici e raffinati che evocano lo stile della maison vicentina. Uno stile mai gridato perché dotato naturalmente di luce propria. Stesso discorso per le note - mai urlate ma soffuse - che in un attimo sintetizzano e riportano alla mente anni di collezioni. Brani ripresi dalle passate sfilate e dalle playlist dei negozi; alcuni eccellenti riarrangiamenti di celebri canzoni come Just an Illusion degli Imagination o Like a Prayer di Madonna. In ogni caso remix impedibili di alcune delle più belle melodie che in questi anni hanno ritmato le sfilate o accolto il cliente, accompagnando le linee delle collezioni e sottolineandone il carattere. In un’armoniosa unione dei sensi, di vista e udito, di forme concrete e note ascoltate. Per un’esperienza multisensoriale a tutto tondo. Che non tralascia nulla per evocare in modo completo il mood Bottega Veneta. 2 cd per un totale di 28 tracce, selezionate dal direttore creativo Tomas Maier e dall’amico di lunga data Michel Gaubert. Ogni traccia è diversa e come tale può essere oggetto di personali interpretazioni da parte di chi la ascolta. La stessa cosa che succede con lo stile della maison: liberamente personalizzabile da ogni cliente. Brano musicale e tratti stilistici divengono così due facce della stessa medaglia, che di nome fa Bottega Veneta. Per merito di questo particolare rapporto venutosi a creare, riusciamo ad esplorare mentalmente gli archivi e a far sfilare davanti ai nostri occhi le collezioni, stagione dopo stagione, anno dopo anno. Un susseguirsi di trend, colori, echi culturali, rimandi storici. Una compilation quindi che si spinge oltre per divenire un defilé musicale. E che molto sa di Bottega Veneta già nel packaging: un box rigido con tanto di fronte e retro recanti rispettivamente una modella e un modello in bianco e nero – in abiti Bottega Veneta, ça va sans dire - ritratti in un movimento rotatorio ma sospeso a mezz’aria, quasi invitassero ad unirsi a questo viaggio nell’immaginifico mondo di uno stile esclusivo e sofisticato. Ma una volta aperto il cofanetto ecco la vera sorpresa: alloggiati i 2 cd dalla meravigliosa serigrafia a intreccio, a riproporre la lavorazione della pelle dal sapore squisitamente Bottega Veneta. Che lo spettacolo abbia dunque inizio e che questo prezioso oggetto del desiderio diventi da noi inseparabile: un modo per entrare a piccoli passi nell’universo Bottega Veneta o per viverlo da un altro punto di vista. O ancora per completare una simile esperienza di pura magia che solo la maison vicentina può regalare con un sottofondo musicale degno di nota. Compagno di viaggio o di relax che sia, in ogni caso che suggelli momenti particolari e preziosi proprio come particolare e prezioso è lo stile della maison.

In vendita negli stores Bottega Veneta. Edizione limitata.

LEISURE_Un viaggio intorno alla qualità. Ovviamente Made in Italy



Nome in codice The Wishpered Italian Grand Tour. In pratica un viaggio a tutto tondo nell’eccellenza artigianale Made in Italy, passando dalla sartoria al cioccolato al design, per scoprire le botteghe e i luoghi, ma anche per incontrare le persone e i maestri artigiani, i veri tesorieri di quella tradizione prestigiosa e di quell’integrità manuale che tanto hanno fatto – e fanno tuttora – grande il nome dell’Italia all’estero.
Un progetto nato su volontà della maison Fendi, teso su più fronti e volto a promuoverne l’eccellenza. Un concept il cui asso nella manica è rappresentato dalla guida The Wishpered Directory of Craftsmanships, edita da Electa, giunta al secondo capitolo (ma in programma ve n’è una terza), completato nel suo spirito decantante da un road movie trasmesso su Sky - ovvero un viaggio nel Belpaese delle eccellenze artigianali compiuto a bordo di un’italianissima Maserati GranCabrio con uno speciale allestimento Fendi – una colonna sonora e un diario fotografico.
L’utilizzo del termine whispered non è casuale ed è strettamente legato all’universo della maison. Come spiega Silvia Venturini Fendi – creative director di Fendi - è entrato a far parte del bagaglio semantico della maison con la creazione della borsa Peekaboo, simbolo di un gusto sussurrato e non ostentato, complice la tendenza a dare risalto prezioso all’interno più che all’esterno. Un’inversione di rotta rispetto a quanto fatto fino ad allora e volano di un cambiamento generale nelle scelte di consumo, sempre più distanti dagli oggetti di fast fashion ed inclini ad una ricerca di bellezza senza tempo, all’insegna della qualità. Nella guida indirizzi e segnalazioni utili che ci fanno viaggiare in lungo e in largo per il nostro Paese, all’esplorazione mai esausta dell’Italia di un tempo e giunta, generazione dopo generazione, sino a noi, intatta nella sua preziosità intrinseca. La guida diviene così un utile riferimento per chiunque voglia intraprendere un simile “viaggio all’italiana”. Al contempo, ha dato vita a una sorta di club: molti artigiani applicano sulla porta dei loro atelier il bollino giallo della Whispered. Da un lato, un elemento caratterizzante la naturale propensione all’eccellenza e, dall’altro, un simbolo distintivo per chiunque lo veda, che in pochi istanti consente di cogliere la magia unica ed eterna, oggi come allora identica nel suo potere affascinante.
Al progetto The Wishpered Italian Grand Tour va inoltre il plauso d’aver rivoluzionato il tema del viaggio, sempre più visto come la concretizzazione del desiderio di instaurare un rapporto umano con le cose, di vedere dove sono prodotte e da chi, di sapere come vengono realizzate, di conoscere tutta la storia e la cultura che si portano con sé. Un viaggio quindi che non si limita a un semplice spostamento, ma implica una sperimentazione approfondita di luoghi e persone strettamente connessi, in virtù del conseguimento di un’esperienza a tutto tondo, che non tralascia di considerare alcunché, in un premiante bilanciamento delle parti. Una tendenza sviluppata dal cibo con concetti quali filiera e chilometro zero e allargata un po’ a tutto. Pena la disaffezione per lo shopping on line tout court alla volta di una vera e propria esperienza di acquisto multisensoriale. E sulla scia di un simile coinvolgimento, addentriamoci con tutta la curiosità del caso in un piacevole e affascinante esercizio di stile, pronti a conoscere di persona il gusto del saper fare. Un gusto a cui non sarà facile resistere e a cui ci si affezionerà per l’eternità.